sfiorare
Perché mai la barzelletta dev'essere quasi sempre greve? Perché la satira deve sconfinare nell'aggressione? Perché l'ironia deve trasformarsi in sarcasmo? Perché la battuta, soprattutto se televisiva, dev'essere volgare o sguaiata? Sono interrogativi scontati che affiorano spontaneamente se consideriamo la definizione di umorismo che ho sopra citato e che è stata coniata dal filosofo francese Vladimir Jankélévitch (1903-1985). Non c'è bisogno di insistere su questo tema perché è ormai davanti agli occhi e nelle orecchie di tutti; anzi, ciascuno di noi è stato un po' colpito e sporcato da questa abitudine all'eccesso, per cui non ci si diverte più con levità ma in modo pesante e scomposto.
Io, però, vorrei assumere la frase evocata solo per raccogliere quel verbo, «sfiorare», un vocabolo ormai desueto non tanto nell'uso quanto nella sua sostanza di significato. La televisione, infatti, ci ha abituato a mostrare tutto, senza limiti di pudore o di rispetto. Si deve sempre calcare la mano e giungere fino all'estremo sia per quanto riguarda il sesso, sia per la violenza, sia per ogni altra dimensione umana.
Si è, così, persa la bellezza dell'eros vero che è solo allusione; si è smarrita la pietà che è delicatezza e compassione; si è cancellato il riserbo che è finezza.
Non si accenna più, si vuole solo descrivere tutto; non si lambiscono i confini ma
si invade ogni spazio in modo grossolano; non si rasentano le pareti della casa ma si vuole assaltarne l'intimità. E molti cercano coscientemente questa impudente ostentazione di sé, senza dignità. Ecco perché è necessario ritrovare il verbo «sfiorare».