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Servono davvero le storie letterarie? I dubbi (condivisibili) di Mengaldo

Alfonso Berardinelli sabato 14 marzo 2009
Pier Vincenzo Mengaldo diffida delle storie letterarie. Critico stilistico, storico della lingua e studioso della Tradizione del Novecento (con questo titolo ha pubblicato nel corso degli anni ben quattro volumi) Mengaldo ritiene che il modo migliore di insegnare letteratura non è farne la storia, ma leggere, analizzare e interpretare testi. La letteratura, per capirla, bisogna guardarla da vicino, non da lontano. Dato che le connessioni possibili fra diversi autori e diverse opere, fra testo e contesto sono innumerevoli e straordinariamente variabili, la prima cosa da fare nell'insegnamento è trasmettere un'abitudine di fedeltà a quello che gli scrittori hanno scritto.
Così, in due agili volumi, Mengaldo ci offre una serie di Analisi di testi esemplari (Carocci editore). Il volume sulla poesia parte da «La Madre e il Cristo» di Iacopone e arriva alle IX Egloghe di Zanzotto. La prosa parte dalla Cronica di Salimbene e conclude con alcune pagine da La tregua di Primo Levi. Nell'introduzione il critico avverte che la sua scelta di testi non va considerata un Canone, «cosa o fantasma a cui non credo né in teoria né in pratica». Avendo poche pagine a disposizione (ne risultano 207 per la poesia e 266 per la prosa) la selezione è stata drastica, ma «non troppo idiosincratica»: i testi analizzati sono definiti «esemplari» non per caso, ma perché si tratta di «capolavori certi».
Ho trovato interessante che Mengaldo concluda dicendo che le sue note bibliografiche, ridotte al minimo, sottintendono «il rimando, tutte le volte che è possibile, alle grande visioni critiche di Francesco De Sanctis». Essendo certo che De Sanctis fu uno storico della letteratura (il più grande che abbiamo avuto) questo richiamo vorrà dire che Mengaldo non rifiuta le storie letterarie: rifiuta l'uso che se ne fa, la loro quantità eccessiva e qualità dubbia.
Gli storici della letteratura, cioè, prima di mettersi all'opera, dovrebbero chiedersi se le loro "visioni critiche" meritano di essere comunicate, se insegnano qualcosa di nuovo, e a chi.