Serena sia un po' più serena. E noi parliamo di Naomi
Di tutta la vicenda colpiscono due tesi contenute nella frase simbolo del Williams-pensiero: «Lo sapete tutti quello che ho fatto per arrivare fin qui, se fossi stato un uomo tutto questo non sarebbe successo». Proviamo ad analizzare i due passaggi che compongono, insieme, il concetto. Quel «lo sapete tutti quello che ho fatto per arrivare fin qui» mette insieme la carriera, la recente gravidanza e il conseguente sforzo per tornare ad altissimi livelli, l'ossessione per la vittoria nonostante età e maternità. Sacrosanto. Peccato che qualche campione talvolta si dimentichi che il proprio avversario ha fatto gli stessi sforzi e gli stessi sacrifici, ha provato lo stesso dolore, si è nutrito della stessa fatica e ha gli stessi sogni. Questa parte della frase ricorda da vicino l'altrettanto infelice uscita di Gianluigi Buffon quando accusò l'arbitro inglese Oliver di aver assegnato un rigore al Real Madrid al 96° minuto: «distruggendo una squadra che ha dato tutto in campo» e dunque, a suo giudizio, dimostrando di «avere un bidone della spazzatura al posto del cuore». In sostanza la Williams, come il Buffon di Champions League, reclama un rispetto che dovrebbe prescindere dalle regole, un occhio chiuso di fronte alla storia, al palmares, all'età.
Beh, lo sport non funziona così. Lo sport resta uno dei pochissimi territori dove la meritocrazia ha modo (non sempre, ma spesso) di emergere. Di trattamenti di favore è pieno tutto il resto del mondo, dalla politica all'economia, che almeno lo sport ne resti fuori. Altrettanto (o forse più) sconcertante, la seconda parte del pensiero della Williams: «Se fossi stato un uomo tutto questo non sarebbe successo». Perché? Come? Quando? Soprattutto: che c'entra? Lei, donna, ha infranto il regolamento e insultato volgarmente un arbitro (uomo) dandogli del «ladro». La sua avversaria, ovvero colei che avrebbe potuto essere penalizzata se l'arbitro avesse fatto finta di niente, era una donna. Questa seconda parte del Williams-pensiero sembra proprio buttata un po' lì per giustificare quella che è stata una crisi isterica o uno psicodramma.
Nel tennis succede che qualche atleta (uomo o donna) perda la testa e venga penalizzato proprio come successo alla Williams. Lo sappiamo bene noi italiani che abbiamo un campione del settore: Fabio Fognini. Purtroppo l'ego fuori controllo di alcuni giocatori di tennis non è una novità. Restano, a fare da contrappeso, splendide storie di sport di campioni che hanno saputo riconoscere il passo dei tempi e lasciare in eredità bellezza, equilibrio, armonia, in qualche modo altruismo. Un esempio? Manu Ginobili, che recentemente ha salutato, con grazia, la sua vita di campione. Insomma, sarebbe bello chiudere questa vicenda (andata in scena in un tempio del tennis che porta il nome di un campione assoluto di sport e senso civico, quell'Arthur Ashe che vinse gli US Open proprio cinquanta anni fa) con il più bel gesto anti-sessista possibile: delle scuse e dei complimenti veri e sinceri di Serena Williams a Naomi Osaka, ovvero il futuro. Perché se qualcosa a Flushing Meadows è stata "rubata", altro non è che la luce su una splendida vittoria di una giovane campionessa che ha sconfitto il suo (ex) totem.