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Seppellire i morti: una parola, una ricerca e una proposta

Guido Mocellin sabato 21 settembre 2024
Mi è tornato sotto gli occhi il “Video del Papa” – con il quale Francesco diffonde ogni mese un’intenzione di preghiera attraverso i social media – dedicato, lo scorso luglio, all’unzione degli infermi (shorturl.at/pEcIt). Per smentire l’idea, ancora diffusa, che tale sacramento sia «solo per coloro che sono in punto di morte» il Papa usava una frase particolarmente diretta: «È dare per scontato che dopo il sacerdote arriverà il becchino». Diversi media italiani, compresi quelli ufficiali vaticani (shorturl.at/LDheo) e il nostro “Avvenire” (shorturl.at/yxrlN), ne hanno sfruttato l’impatto per titolare la presentazione del video. Ma non possiamo collocare l’utilizzo della parola “becchino” tra quelle forme popolari, gergali o persino di suo conio che il Papa usa spesso, specie quando parla a braccio, per accrescere l’espressività di certi concetti. I testi dei “Video del Papa” sono infatti pronunciati in spagnolo, e in questo sull’unzione degli infermi la parola scelta da Francesco è “enterrador”. Che rimanda subito all’atto della sepoltura, molto più familiare nel discorso cristiano (penso alla settima opera di misericordia corporale); esso si ritrova anche nei termini con i quali “enterrador” è stato tradotto, per questo filmato, in inglese (“undertaker”) e in francese (“fossoyeur”). “Becchino” mi è suonato un po’ più distante e crudo, e ho pensato che i traduttori del “Video del Papa” dallo spagnolo avrebbero potuto scegliere una forma più letterale, come “gli addetti alla sepoltura”, o più tecnica, come “necroforo”, o più ampia, come “le pompe funebri”. “Il mestiere di seppellire i morti” Una rapida ricognizione sui motori di ricerca ha confermato questa mia impressione. Il Vocabolario Treccani definisce sì “becchino” come “il mestiere di seppellire i morti” (shorturl.at/juPiv), ma poi ne offre una ricorrenza, in Boccaccio, accanto all’ancor più crudo “beccamorto” (sinonimo spregiativo). Su Wikipedia la voce da cercare è “necroforo”, di cui “becchino” è detta la variante popolare (shorturl.at/LniRT). Contiene un paio di passaggi sul «becchino nella cultura di massa», dove, oltre all’accenno alle superstizioni che lo riguardano, si passano in rassegna i più famosi “becchini” del cinema, dello sport (in quanto soprannome di qualche atleta), della canzone (come quello de “Il testamento” di De André) e di due serie Tv. Tra le “notizie” il termine ricorre abbastanza raramente, magari come metafora di chi ha accompagnato la fine di qualche istituzione o impresa. Molti sono invece i link ai siti delle imprese di pompe funebri, ricchi di dettagli su chi è e cosa fa il “becchino”. Inteso come chiunque lavora in un’agenzia di onoranze funebri, se ne ipotizza l’etimologia (che poco o nulla ha a che fare con la sepoltura) e se ne descrivono le qualità umane e professionali. Si vuole far apprezzare il valore sociale di questo lavoro piuttosto che lasciarsi inquietare dal contatto con i morti e con la morte che esso comporta. Un testo annota anche che «nella cultura cattolica il ruolo del becchino è molto rispettato». Le équipe di “catechisti del lutto” Tra questi siti non poteva mancare quello dell’impresa abruzzese (ma ormai diramatasi da Roma a mezza Italia) di «funeral services» Taffo, impostasi all’attenzione dell’opinione pubblica per la scelta di promuovere la propria attività attraverso forme e linguaggi «non convenzionali» (così li qualifica l’azienda stessa). In particolare attraverso i social media: Facebook, Instagram, TikTok e X. Ironia noir, humour britannico, irriverenza, cinismo sono le parole che vengono abitualmente associate a questa comunicazione. Sono frequenti i riferimenti all’attualità, che significano sovraesposizione, polarizzazione pro-contro ma pure ulteriore promozione del brand. Molto spesso, anche in ambito teologico-pastorale, si è sottolineato come nelle nostre società contemporanee i morti e il discorso su di essi vengano tendenzialmente confinati in luoghi deputati, per non dire nascosti o rimossi (si muore in ospedale, la camera ardente dura pochi minuti, si va poco al cimitero), o, all’opposto, inopportunamente spettacolarizzati. Certamente la comunicazione di questa agenzia va in controtendenza, ma entro una prospettiva del tutto immanente; del resto, si tratta di marketing. Le istituzioni religiose e le persone di fede hanno da fare un discorso molto più ampio e carico di speranza: oltre alle omelie ai funerali, ci sono certo altri luoghi, come le équipe di “catechisti del lutto” nelle parrocchie, attraverso i quali comunicare come “seppellire i morti”. Magari c’è uno spazio anche sui social. © riproduzione riservata