Ci sono tanti modi per comunicare. Anche senza parole. Mia nipote Tecla, dieci anni, non parla dalla nascita a causa di una malattia che la qualifica come “disabile grave”. Eppure trova tanti modi per farsi capire, e quanti le vogliono bene hanno imparato a dialogare con lei in maniera creativa: uno sguardo, un sorriso, un abbraccio, o metterle davanti agli occhi le fotografie dei genitori, dei fratelli, degli amici, della casa, della scuola, raccolte in un “quadernone” che negli anni il padre e la madre hanno costruito seguendo il metodo della Comunicazione Aumentativa Alternativa, una tecnica per incrementare le capacità relazionali delle persone che non riescono a usare i normali canali comunicativi come la parola e la scrittura. È uno strumento per dare voce a chi non può parlare e per aiutarlo a entrare in relazione con gli altri. Io, da nonno, guardo gli occhi bellissimi di Tecla, cercando di immaginare il mondo che misteriosamente vive dentro di lei, quello che non sa esprimere con la voce ma che avverte nel suo cuore. E intuisco che Tecla non è riducibile alle sue abilità. Lei è di più, vale molto più di ciò che è capace di fare: è una fragile creatura amata da Dio e da tutti noi, e che chiede un amore senza condizioni. Per questo ogni giorno prego perché sia felice. Anche senza parole.