L'editore Ara-gno ha pubblicato il mese scorso un commento di Giuseppe Raciti a tre lettere di Seneca (n. 32, 45, 70), con il titolo Impara a morire, non a uccidere (pagine 122, euro 14,00). Raciti insegna filosofia teoretica e filosofia della storia all'Università di Catania, e riesce a mettere in dialogo Seneca con Husserl, Heidegger, Nietzsche, Musil, non solo per cogliere assonanze e anticipazioni senecane, ma per una concezione sincronica della filosofia e della storia che fa sentire nostri contemporanei Seneca e tutti i pensatori chiamati a consulto. Raciti, in apertura, rivendica i meriti della civiltà romana rispetto alla cultura greca, contro il luogo comune che ritiene sacri i Greci, mentre «i Romani, al più, costruivano acquedotti. Erano gente pratica, senza attitudine speculativa». In tal modo si dimentica «che senza Cicerone, che li tradusse uno per uno, non si conoscerebbero neppure i nomi dei concetti filosofici; e che senza Seneca lo stoicismo sarebbe solo un ginepraio di frammenti». Promemoria. Seneca (4 a.C. - 65 d.C.) era spagnolo, di Cordova. Dopo un soggiorno di studio in Egitto, entrò nella corte di Caligola. Coinvolto in una congiura di palazzo, l'imperatore Claudio lo esiliò in Corsica, incitato dalla moglie Messalina. Dopo otto anni, nei quali Seneca approfondì i suoi studi, l'imperatore - che nel 48 fece uccidere Messalina insieme al di lei amante Gaio Silio - lo richiamò a Roma. Agrippina, sorella di Caligola, riuscì a farsi sposare da Claudio, e affidò a Seneca l'educazione del figlio Nerone, avuto da Domizio Enobardo. Nerone divenne imperatore a 17 anni e ben presto rivelò la sua indole criminale. Fece uccidere la madre e costrinse Seneca al suicidio, ritenendolo complice di un complotto ai suoi danni. Giuseppe Raciti ricorda che lo storico Dione Cassio (155-235) ha lasciato scritto che «la condotta di Seneca si dimostrava esattamente opposta ai precetti filosofici che divulgava». In effetti, il ritratto di Seneca tracciato da Bruno Nacci nel volume Destini. La fatalità del male (Ares, 2020) non è lusinghiero. Il filosofo fu amante di Livilla, sorella di Agrippina, e si sussurra che Nerone non fosse figlio di Domizio, bensì di Seneca stesso. Il filosofo si circondò di ricchezze e fu consenziente all'assassinio di Agrippina. Qui non entriamo in particolari che sconfinerebbero nel pettegolezzo. Preferiamo attenerci al meglio di Seneca e trascriviamo una frase del commento di Raciti in sintonia con Foucault: «La scienza non è vera, è esatta. La scienza è conforme alla realtà ed è tanto più esatta quanto maggiore è siffatta conformità. La scienza articola il reale, e lo articola con precisione crescente. La verità, per contro, sta "fuori" della realtà, non perché sia un'astrazione, ma perché dischiude la prospettiva di un'altra realtà, diversa dalla sussistente. La filosofia è infatti il trattamento veritativo della realtà».