Un’arte nazionale assai praticata pare sia quella di denigrare, spesso con voluttà, chi ha successo. I motivi sono materia di analisi per la psicologia, se non della psichiatria. Ma intanto alcuni quotidiani scendono a rete in occasione dell’ultima vittoria di Jannik Sinner, tennista numero uno in Italia e quarto al mondo. Giulia Zonca sulla “Stampa” (5/10), titolo: «O eroi o rei questa vittoria sia una svolta. Oltre Jannik», firma un colonnino di spalla, accanto alla cronaca del trionfo di Pechino, che vale assai più di quel che sembra. Zonca segnala «l’indole nazionale di tifosi burberi sempre in cerca di qualcuno da esaltare e trucidare con uguale passione». I nostri sono «o rei o eroi. Senza nulla in mezzo. È successo con Federica Pellegrini, prima di diventare santa a colpi di ori, è stata l’arrogante, la mangiauomini che destabilizzava il gruppo, la mitomane che improvvisava attacchi di panico quando non se la sentiva di nuotare». E poi è continuato con Jacobs, Egonu e altri, fino a Sinner. Andrea Scanzi sul “Fatto” (5/10) è ancora più caustico: «Una delle cose più divertenti, nei prossimi mesi, sarà assistere alla salita sul carro del vincitore Sinner da parte degli stessi giuggioloni che, fino al giorno prima, lo reputavano, purtroppo da sobri, “sopravvalutato”, “mercenario” e “traditore della patria”. Siamo un Paese fantastico. Abbiamo aspettato per più di quarant’anni un tennista in grado di rivincere uno Slam, e adesso che lo abbiamo si assiste alla saga dell’imbecillità dilagante, del rosicamento diffuso e della retorica nazionalista più patetica (...). Se oggi la stampa è costretta a celebrarlo, fino a ieri non erano in pochi a bastonarlo con gioia. Soprattutto la “Gazzetta dello sport”, impegnata in una surreale guerra santa contro di lui». Ben oltre Sinner «esiste – scrive Concita De Gregorio sulla “Repubblica” (5/10), titolo: «La stupidità e la cattiveria» – una caratteristica dei grandi corpi sociali molto studiata e in Italia sviluppatissima che definirei, in estrema sintesi: non perdonare il successo (...). C’è una specie di voluttà nell’abbattere il campione. Succede spessissimo con gli sportivi: più vincono, più sono oggetto di critiche personali, inessenziali, pretestuose (...). Ma vale per tutti: se riesci in quello che fai sei in pericolo».
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