Rubriche

Se la responsabilità diventa l'unico «algoritmo» dei social

Gigio Rancilio venerdì 19 gennaio 2018
Molière non immaginava nemmeno cosa fosse il mondo digitale (ai suoi tempi nessuno nemmeno lo immaginava), ma da uomo di teatro conosceva le persone. Sua è una interessante massima sulla responsabilità: «Non è solo per quello che facciamo che siamo ritenuti responsabili, ma anche per quello che non facciamo».
Applicata a Facebook e alla decisione di cambiare l'algoritmo del social più grande del mondo, penalizzando di fatto le notizie pubblicate dalle pagine di giornali e aziende, questa frase calza a pennello. Perché se Zuckerberg e soci – dopo avere guadagnato e contribuito alla grande al caos nato sui social – hanno deciso di rimettere tutto in mano ai singoli utenti (saranno loro a decidere quali notizie eventualmente socializzare ai loro amici) l'hanno fatto non per amore del bene, ma anche per fuggire dalla propria responsabilità.
Perché, anche se non lo ammetteranno mai, è ormai chiaro che a Facebook non interessa vincere la battaglia contro «fake news», violenza e odio social. E per due semplici motivi: ha capito che le costerebbe una fortuna e che comunque non riuscirebbe mai a far sparire lo «sporco» dal suo social, e quindi sarebbe sempre ritenuta responsabile di ciò che le persone vedono sulle loro bacheche e per questo attaccabile.
Trasferendo invece il «potere» nella mani degli utenti, ha passato ad ognuno di noi la parte più importante della responsabilità. Il che sposta la «colpa» dal social ai singoli, dal sistema all'individuo. Un'autentica furbata. Che alla lunga potrebbe pagare Facebook anche in termini monetari.
E adesso? Adesso che non potremo più prendercela con Facebook, con chi ce la prenderemo se non vedremo più certe notizie o peggio se vedremo cose che non vorremmo vedere? Semplice: con i nostri amici social e – solo alla fine, ma molto alla fine – anche con noi stessi.
Spero di sbagliarmi ma con questo passaggio di consegne temo che il livello di «fake news» e di odio sui social non diminuirà. Togliendo infatti dalla scena un «nemico condiviso» (il social) al quale attribuire qualunque colpa, le persone finiranno per accusarsi sempre più fra loro.
A questo punto, vi confesso, per andare avanti nel ragionamento ho bisogno di un'altra frase ad effetto sulla responsabilità. Ne ho trovate di calzanti. Di Antoine de Saint-Exupery, quello del Piccolo principe («Ognuno è responsabile di tutti. Ognuno è l'unico responsabile di tutti»), di Martin Luther King («Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla») e persino di Einstein («Dobbiamo sempre agire al meglio delle nostre possibilità. Questa è la nostra sacra responsabilità umana».)
Potrei andare avanti a lungo con le citazioni, ma mi fermo. E vengo al punto. Da qui in avanti ognuno di noi – anche nel mondo digitale, dei social, di WhatsApp, Messenger, YouTube e streaming vari – dovrà prendersi sempre maggiori responsabilità.
Perché sarà sempre più importante scegliere cosa guardiamo, leggiamo, commentiamo e soprattutto ciò che decidiamo di condividere. Le prime due azioni (guardare e leggere) incideranno su ciò che ci verrà mostrato dai vari servizi digitali (social, web, piattaforme di video streaming) nelle visite successive, mentre ciò che commentiamo e soprattutto condividiamo darà più o meno forza (per esempio) agli articoli di testate che riteniamo importanti. Per esempio, più condivisioni riceverà un articolo e più sarà alta la sua possibilità di raggiungere un pubblico più ampio.
Ho solo un ultimo timore: che alla lunga scopriremo che per molti la responsabilità è una di quelle cose che tutti a parole vogliono ma che nessuno alla prova dei fatti si prende veramente. Nel digitale e (forse) non solo lì.