Sui giornali è sempre più viva la discussione sul "ddl Cirinnà", che i contrari pensano sia malaugurata e i favorevoli non definiscono "benedetta" solo perché questo è un termine di Chiesa e quindi da rifuggire. Una decina di giorni fa l'Unità si presentava ai lettori con questo titolone: «Diritto alla normalità», come se il matrimonio fosse una stranezza e siano giuste le probabili «unioni civili» tra persone rispettabili, ma certamente al di fuori della norma. Ciò è tanto vero che per sé chiedono leggi speciali, filiazioni di recente invenzione e, per parlare degli altri-non-omo, usano termini creati appositamente, come "etero" e tengono quanto mai a non mischiarsi alla gente comune. Della quale, anzi, rivendicano i diritti normali, per trasformarli in speciali, in para-diritti, cioè in distorti. Qualche giorno dopo, su la Repubblica, Corrado Augias scriveva del «mistero della famiglia», quasi che nessuno, nemmeno lui, l'avesse capito anche se gode di una normale come tanti, tra cui chi scrive qui. E però, tirando le somme, usava un'affermazione latina patristica – «Credo quia absurdum», ci credo perché è assurdo – che nessun apologeta cristiano ha mai scritto e che lui attribuisce a Tertulliano (secondo secolo), forse perché tra i Padri della Chiesa fu l'unico che deviò, facendosi eretico "montanista" (attesa di una nuova rivelazione questa volta dello Spirito Santo e di una seconda discesa di Cristo sulla Terra).Il Fatto (mercoledì 10) ricordava che, secondo Napoleone Bonaparte, «il matrimonio non deriva affatto dalla natura» e che, alla sua scuola, «il giovane Honoré de Balzac "sfornò un sarcastico e irriverente saggio"» (è La physiologie du mariage) «sulla unione incivile per eccellenza: le nozze tra uomo e donna», ma poi si sposò con una ricchissima nobildonna polacca. Su Italia Oggi un magistrato, Domenico Cacopardo, afferma: «Che la famiglia sia solo etero è uno stiracchiamento» e lo deduce dall'affermazione che «la Corte Costituzionale […], per affermare che la famiglia dell'art. 29 è solo quella eterosessuale, ricorre alla definizione che del matrimonio dava nel 1948 il Codice Civile». La Corte, invece, gentile magistrato, ha soltanto preso atto della realtà di cui il Codice è buon testimone, mentre nessun atto pubblico e nessuna richiesta popolare avanzavano impossibili e poco magistratuali omostiracchiamenti.RODOTÀ ALL'ESAMEDavanti alle unioni civili sono «ostacoli visibilmente pretestuosi anche i grandi principi cui si fa appello […]: la critica all'utero in affitto, l'invocazione dei diritti dei minori e il richiamo della libertà di coscienza». S'inizia così su Repubblica (mercoledì 11) un articolo di Stefano Rodotà, già ordinario di Diritto Civile alla Sapienza, su «L'esame di civiltà del Parlamento». Meno male che io l'esame di "civile" l'ho fatto tanti anni fa, quando quei «grandi principi» i miei Professori non li chiamavano certo "ostacoli pretestuosi".