C’è un motivo preciso per cui, presto o tardi, la rivoluzione iraniana o quella afghana vinceranno: l’hanno iniziate le donne. È sempre stato così. Nelle strade di Praga, Berlino, Timisoara, Kabul, Teheran e in tutti gli altri posti dove si fa la storia, spesso i fotoreporter immortalano soltanto facce di uomo, ma se le cose succedono, se le condizioni di vita migliorano, se il mondo fa un passo in aventi in termini di diritti sociali e civili è perché le donne si mettono in testa che deve succedere. È così anche nello sport, naturalmente, mondo all’apparenza storicamente marcato molto più dagli uomini, che invece ha visto il suo essere avanguardia di diritti proprio grazie alle donne. In questa giornata dedicata alle donne, dunque è un privilegio ricordare quante atlete coraggiose, più o meno note, hanno contribuito a cambiare dei paradigmi. Sarebbero un numero enorme, ne scelgo una per tutte e tutte per una. È la storia di Nawal El Moutawakel, la prima donna del continente africano, prima araba, prima donna musulmana a vincere una medaglia d’oro ai Giochi Olimpici. Accadde a Los Angeles, nel 1984, quando questa minuta donna marocchina vinse i 400 ostacoli, la gara più massacrante dell’atletica leggera. In 54 secondi e 61 centesimi ribaltò un paradigma. Ricevette i complimenti telefonici di Hassan II in persona, Re del Marocco. «L’ho fatto per tutte le donne arabe» disse Nawal in quella telefonata, al termine della gara. Il Re la prese alla lettera disponendo che tutte le bimbe nate quel giorno, nel Regno, si sarebbero chiamate Nawal, per decreto. Lei, partita da Casablanca, studentessa all’Università americana di Iowa grazie alla lungimiranza dei genitori, aveva davvero cambiato il suo mondo, aiutando migliaia di atlete musulmane a rendersi conto di poter avere una nuova prospettiva di vita. Nawal El Moutawakel mise al servizio del suo Paese la propria notorietà, impegnandosi in prima persona nel difficile compito di favorire l’emancipazione femminile, partendo proprio dall’aspetto sportivo. Un lavoro testardo che la portò, nel 1993, ad organizzare a Casablanca una corsa su strada di 5 chilometri riservata alle sole donne e che ad oggi conta oltre trentamila partecipanti. Diventò membro del Consiglio della Federazione Mondiale di Atletica leggera, vice Presidente del Comitato Olimpico Internazionale, Ministra dello sport e della gioventù, in Marocco. Di sicuro, senza il suo esempio, la mezzofondista algerina Hassiba Boulmerka non avrebbe mai conquistato i titoli olimpici ed iridati sui 1500 metri, in un Paese dove le sue imprese sono state pesantemente osteggiate dai fondamentalisti islamici sino a farle giungere minacce di morte. Nawal El Moutawakel ha fatto tanto per tutte le donne arabe e musulmane del mondo, ma hanno fatto (e ancora fanno) ancora di più migliaia di donne che hanno corso, gareggiato, lottato e sudato sotto al velo imposto dagli integralisti. Grazie all’esempio di Nawal migliaia di donne non hanno vinto medaglie, ma hanno iniziato a cambiare vita grazie allo sport. E per il semplice fatto di averlo voluto, oppure a suon di anonimi ottantesimi posti, sono state in grado di farsi rispettare. Migliaia di donne capaci di soffrire come tutte le altre donne del mondo. Migliaia di donne che questo mondo lo hanno cambiato, che hanno fatto e faranno la storia, come solo le donne sono capaci di fare.
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