Se il voto diventa anti-economico
L'evidenza dei numeri indica in questa fase storica una volatilità del voto che non era mai stata così alta. Non è un caso: nel momento in cui votiamo, la grandissima parte di noi non si basa su ragionamenti a lungo ponderati ma si affida alle proprie emozioni, mosse a volte da valori profondi ma più spesso da stereotipi, pregiudizi, simpatie e antipatie. Il saggio mette in luce come il 99% dei processi mentali avvenga al di fuori della sfera della consapevolezza e come proprio su questi processi non razionali cerchi di agire chi vuole orientare il nostro voto. Attraverso l'arma della dis-attenzione: nella società contemporanea infatti l'attenzione è diventata, insieme al tempo, il bene più prezioso. E la lotta per catturarla viene condotta abbassando sempre di più il livello delle risorse cognitive ed emotive necessarie per la fruizione di un qualsiasi messaggio. Accade così, spiega bene il saggio, che «la tendenza (planetaria) sia quella di considerare credibili solo le informazioni che confermano la concezione del mondo che già abbiamo»: in quest'ottica i fatti, i numeri, la realtà stessa diventano irrilevanti rispetto al pregiudizio emotivo.
Potremmo affermare paradossalmente che il nostro voto rischia di essere anti-economico: non risponde più ai nostri bisogni razionali, ma solo ai nostri istinti. Fenomeno che crea una ferita nelle democrazie occidentali e che rende ancora più straziante la mancanza di elites trainanti (non solo in ambito politico), in grado di mettere in campo le visioni e le competenze necessarie per condurre le nostre comunità verso una rotta di «magnifiche sorti e progressive» e non, per stare sull'attualità, di limitarsi colpevolmente ad assecondare un trend di "decrescita felice".
www.francescodelzio.it
@FFDelzio