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Se dopo tanta cultura in Italia ci si sente a digiuno, qualcosa non va

Alfonso Berardinelli sabato 20 dicembre 2008
Che cos'è la cultura? "Repubblica" dedica un inserto di quattro pagine a questo interrogativo, illustrando un'iniziativa dell'artista cileno Alfredo Jaar: poster e manifesti «sui muri e nella metropolitana di Milano per invitare i passanti a riflettere su cosa è oggi la cultura». Le risposte possono essere inviate sul sito dell'artista. Intanto "Repubblica" riproduce quindici fra interrogativi e indicazioni, chiamando a rispondere altrettanti intellettuali: da Dario Fo a Moni Ovadia, da Inge Feltrinelli a Sergio Romano, da Antonio Scurati a Michele Serra.
Ma non è un caso che questa iniziativa (il titolo è «Questions») sia stata lanciata in Italia, paese simbolo della cultura occidentale, dove la cultura però sembra a disagio e quasi fuori posto. Poca curiosità, poca ricerca, molta e crescente indifferenza. «Credo che il principale compito dell'artista» spiega Jaar «sia creare spazi di resistenza, per incitare il pubblico a riflettere sul mondo». Fra le domande proposte (dopo la prima è fondamentale: Che cos'è la cultura?) comincerei da queste: Cultura dove sei? La cultura è politica? La religione è cultura? La cultura è critica sociale? L'intellettuale è inutile? Ma l'intero questionario potrebbe essere usato per animare qualche serata nelle prossime feste natalizie, per favorire o bloccare la laboriosa digestione degli invitati. Magari aggiungendo nuovi quesiti: Perché la cultura non approfitta del Natale per rinascere? Quale cattiva cultura esprime il Capodanno?
Intanto un'altra pagina di "Repubblica" ci informa che secondo il settimanale inglese "Economist" la nostra vita è diventata più intelligente e colta: mostre d'arte affollate, festival culturali dovunque, in crescita gli ascoltatori di musica classica alla radio, giornali pieni di inchieste, saggi e dibattiti. Perché allora, dopo aver mangiato tanta cultura, abbiamo così spesso l'impressione di essere a digiuno? Qualcosa non va. In un mondo di alti consumi culturali, chi osa vivere "secondo cultura"?