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Se dolcissimi gli acini son meglio con la carne

Paolo Massobrio, Giorgio Calabrese venerdì 29 agosto 2003
Mentre il 3 agosto si apriva a Marsala la tradizionale vendemmia notturna presso le tenute di Donnafugata, nel resto dell"Italia i viticoltori guardavano attoniti all"anomalia del tempo. I caldi e le scarse piogge hanno anticipato ovunque la maturazione delle uve e per quest"anno anche l"ampeloterapia, ossia la cura dell"uva, può benissimo coprire una parte di vacanze. C"è tuttavia un errore, in questa consuetudine alimentare purificatoria, che consta nel procedere con le uve da tavola. Ora, le uve maggiormente ricche di sostanze dovrebbero essere quelle utilizzate per il vino, i cui acini sono dolcissimi ed in proporzione assai di più di un"uva Italia o Regina o della nera d"Abruzzo denominata Cardinal. Ma l"uva nera, raccolta ai bordi delle vigne dove il sole batte forte, è adatta anche all"utilizzo in cucina, soprattutto se associata con la selvaggina oppure con il fegato. L"uva rossa ha anche il pregio di una polpa soda e resistente ed un buon grappolo di nero d"Avola andrebbe volentieri a nozze con le quaglie. Se invitate un"altra coppia e siete in quattro, occorrono due quaglie a testa che vanno salate e pepate completamente prima d"essere avvolte in sottili fette di lardo. In un tegame farete sciogliere 50 grammi di burro dentro cui le quaglie rosoleranno a fuoco vivo per un quarto d"ora. Una volta tolte le quaglie dal tegame, le predisporrete in una teglia da forno, avendo tolto il lardo e unendo le interiora saltate in un padellino con cipolla e aglio. Al tutto si uniranno mezzo chilogrammo di acini d"uva possibilmente senza una parte della buccia e i semi. La teglia andrà infornata a 250° per dieci minuti; appena spento il forno bagnerete il tutto con un po" di Cognac, lasciando riposare a forno aperto. Dopo cinque minuti potete servire questo piatto che è un saluto all"estate che va via. Il vino ? Naturalmente un nero d"Avola in purezza.