Se Amazon e Facebook scoprono il valore della musica
Discorso a parte merita Amazon che nel business c'era già, ma ha deciso di dare un'accelerata offrendo gratis da ieri ai clienti di Amazon Prime il sevizio Prime Music, con 2 milioni di brani e fino a 40 ore al mese di musica. Chi invece sottoscrive un abbonamento a Amazon Music Unlimited troverà più di 50 milioni di brani a 9,99 euro al mese e senza alcun limite orario. Con questa mossa il gigante guidato da Jeff Bezos va all'attacco diretto di Spotify, che è il leader del settore con 145 milioni di utenti, 75 milioni dei quali hanno sottoscritto un abbonamento mensile a pagamento.
Nello streaming musicale (cioè la possibilità di ascoltare e scaricare musica legalmente) ci sono da tempo anche Deezer, Tidal, Pandora e per certi versi anche SoundCloud e (in Italia) TimMusic. In mercati come la Cina la fanno da padrone Kuwo Music, QQ music, Kugou, Wesing, Ultimate music. I motivi per cui anche Amazon e Facebook si buttano sulla musica è duplice: lo streaming musicale si è rivelato un business con ottimi margini di crescita ma anche un modo per tenere vicino il pubblico dei più giovani.
Secondo l'ultimo rapporto Ifpi (la Federazione internazionale dell'Industria Fonografica), nel 2017 la crescita di abbonamenti per ascoltare musica è stata del 45,5%. Oggi gli utenti totali paganti sono 176 milioni. Al punto che il 38,4% del fatturato dell'industria musicale mondiale nel 2017 è arriva dallo streaming. Il ritorno economico dal digitale è cresciuto del 19,1% e vale 9,4 miliardi di dollari. Di questi, 6,6 miliardi arrivano dallo streaming (+41,1%) e 2,8 miliardi dalle vendite digitali (-20,5% rispetto all'anno precedente). La crescita prevista è di altri 2 miliardi di dollari entro il 2020. Da tre anni a questa parte quel mondo digitale che aveva mandato in crisi la musica sta infatti facendola risorgere.
Non è un segreto che l'industria punta (anche se non va a genio a tutti) al modello Spotify, che nel 2017 ha distribuito al mondo musicale 20 dollari per ogni iscritto. Nel mirino dei discografici c'è invece YouTube, che è la principale fonte di consumo di musica al mondo e che, nell'ultimo anno, ha distribuito alla discografia meno di 1 dollaro ad utente. Se il mondo della musica riuscisse a farsi pagare da YouTube quanto prende da Spotify, brinderebbero tutti a champagne.
Google e YouTube sono nel mirino della discografia anche per un altro motivo: non farebbero abbastanza per stroncare il fenomeno del cosiddetto «stream ripping», ovvero la possibilità di scaricare l'audio di brani protetti da copyright, con app dedicate o tramite siti specifici. II sistema è semplice: l'app o il sito scaricano l'audio da un video musicale trasformandolo in un brano musicale piratato in formato Mp3, da suonare su pc o sul cellulare.
Ma torniamo a Facebook, che ha deciso di entrare nel business musicale (per ora) in un modo un po' diverso dagli altri big del digitale. Il gigante guidato da Mark Zuckerberg ha annunciato il lancio di Lip Sync Live, una nuova funzione molto simile a Musical.ly, la piattaforma amata dai ragazzi che vanta 100 milioni di utenti. In pratica, ora anche ogni iscritto a Facebook potrà creare video musicali, sincronizzando il movimento delle sue labbra con una canzone. Le esibizioni in playback verranno poi votate e commentate dagli amici.
Facebook ha già fatto sapere che non si fermerà qui e che, dopo avere stretto accordi con le principali case discografiche, investirà sempre di più nella musica. In questo modo spera di fermare la fuga dei più giovani dal più popolare social del mondo.