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Se al “diritto allo sport” si rinuncia per povertà

Mauro Berruto mercoledì 6 novembre 2024
Poco più di un anno fa, il 20 settembre 2023, per la prima volta nella storia della Repubblica, la nostra Costituzione ha riconosciuto «il valore sociale, educativo e di promozione del benessere psico-fisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme». Così recita il comma, approvato all’unanimità dal Parlamento, che ha modificato l’articolo 33 e che dà vita a un “diritto allo sport”, in quanto tessuto connettivo della comunità e vero e proprio investimento sociale. «Fino a qui tutto bene» come dice, nel famoso film di Mathieu Kassovitz, l’uomo che precipita dal cinquantesimo piano di un palazzo, man mano che cade. Già, perché il problema non è il volo, ma l’atterraggio. E l’atterraggio, nel senso della messa a terra di quel neonato diritto, resta ancora un enigma. Lo hanno testimoniato, con due ricerche che riportano alla oggettività (e in qualche modo alla crudeltà) dei fatti, sia il Censis che la ong Save the Children. Per il Censis il divario nell’accesso allo sport e nella pratica sportiva tra ragazzi che provengono da famiglie a basso reddito e quelli a reddito alto è elevatissimo: ogni quattro ragazzi che appartengono a nuclei familiari in difficoltà economiche ce ne sono sette di famiglie benestanti. È un record di cui non essere orgogliosi e che rappresenta una situazione tutta italiana. Negli altri Paesi europei, infatti, questo differenziale non esiste: in Spagna è minimo (6 contro 6,6), in Francia appena superiore (5,4 contro 6,2) e la media dei paesi dell’Unione è simile a quella. Save the Children, nella sua indagine su povertà minorile e aspirazioni dal titolo Domani (im)possibili, dedica un capitolo al “vivere senza”, ovvero a tutte quelle rinunce a cui sono costrette le famiglie in condizioni di povertà. La rinuncia allo sport, proprio perché troppo costoso, compare al terzo posto e, in valore assoluto, interessa quasi 200.000 ragazzi e adolescenti. In moltissime nazioni europee sono previsti assegni supplementari, voucher o forme di sostegno economico per la copertura di quote di iscrizione a club sportivi. In altre, come la Finlandia, dove la pratica regolare di attività sportiva coinvolge più dell’80% dei cittadini, vengono potenziate le attività gratuite di avviamento allo sport. In Italia, invece, le politiche di sostegno alle famiglie a basso reddito per spese connesse all’educazione e al tempo libero di bambini, bambine e adolescenti sono limitate alle deduzioni fiscali per le spese legate allo sport. Se non vogliamo che le parole del comma dell’articolo 33 della Costituzione restino simboliche occorre definitivamente attuare politiche pubbliche di sostegno alla promozione dell’attività sportiva per le famiglie meno abbienti e con più figli. Tutto ciò non per aumentare il numero di medaglie olimpiche ma per garantire al Paese un risparmio in termini di costi sociali e di salute, come ampiamente testimoniato dalla letteratura scientifica. Quando supereremo il paradosso di essere superpotenza del medagliere olimpico e, contemporaneamente, fanalino di coda nella diffusione della pratica sportiva di base e quando allo sport, in Italia, potranno accedere tutti (e non solo, come succede oggi, chi se lo può permettere) sarà un giorno luminoso per il futuro del Paese. © riproduzione riservata