Un'associazione di idee mi riporta alla memoria gli anni della guerra — la mia, la seconda mondiale. Sono stati anni difficili: difficili e tristi. Per frequentare le medie mi ero dovuto trasferire in città, ospite dell'affollata casa di mia nonna, lasciando mia madre, mio padre, i miei fratelli. Intanto cominciava la guerra, con le crescenti restrizioni. Sicché d'un tratto la mia esistenza era diventata un'altra: e adattarmi non mi era facile; ma ci si riesce: si mangia la minestra, qualsiasi sapore abbia, nemmeno pensando di saltare dalla finestra. (Vale anche l'altro proverbio: gettàti in acqua, s'impara a nuotare). Ottenuta la licenza ginnasiale dopo un anno di studi privati a casa, nell'autunno 1944 ero tornato da mia nonna, per frequentare il liceo, meno che quindicenne. Molto era cambiato, in quell'anno. La guerra durava, ce ne arrivavano gli echi sordi, che poco capivamo: era una buia stagione d'incertezze e di paure. C'era l'occupazione americana e c'era la fame. Moltissima fame: vera; che a un adolescente riusciva difficile gestire e sopportare. Non mi metto a raccontarla: basti dire che tuttora guardo con inquietudine se a tavola c'è abbastanza pane. È stata la più importante scuola della mia vita: addosso me ne trovo ancora le cicatrici e le lezioni.