In queta atmosfera di attesa (ci auguriamo vana) dello scoperchiamento di un vaso di Pandora legato al nuovo scandalo delle scommesse nel mondo del calcio, iniziano le inevitabili riflessioni: come è potuto succedere? Di chi è la responsabilità? Che cosa bisogna fare per porre fine a questo ricorrente incubo? Impossibile avere una ricetta: come sempre ogni problema complesso ha una soluzione semplice che, certamente, è quella sbagliata. Una parte di tuttologi e post-veggenti, ovvero coloro che soltanto dopo il manifestarsi di un evento hanno la soluzione, ha già sentenziato: inasprire le pene per gli atleti, chiedere la testa degli organi federali che non hanno saputo cogliere questa china. Resta il dubbio che inasprire le pene non sia mai un deterrente sufficiente (le norme già oggi prevedono sanzioni sportive che possono seriamente compromettere la carriera di un giovane calciatore) e che sostituire una governance, per questioni di una presunta scarsa vigilanza, preluda solo al tentativo politico di mettercene un’altra. Credo che, come sempre succede, la strada sia più lunga e che occorra rimettere al centro e dare valore alla diade “atleta-allenatore”. Purtroppo, entrambe queste figure sono state demolite dal mondo del calcio. O meglio demolite da un’iniezione di denaro sopra il livello di guardia anche a favore di calciatori e allenatori stessi, sia chiaro, che ha messo nell’angolo l’importanza (perdonate la retorica, ma in questo caso evviva la retorica) del rapporto docente/discente o, se preferite, educatore/allievo. Sì, parlo senza timore di smentita di educatori, tentando di restituire loro la dignità e l’importanza del ruolo. Non tecnici, non istruttori, ma educatori. Educatori del gesto atletico, senza dubbio, ma anche educatori del sistema neuronale che quel gesto attiva. Il muscolo, insomma, e il cervello. Ormai il mondo dello sport è assediato da mental coach (forti magari del diplomino acquisto grazie alla frequentazione di un corso in un weekend) che hanno come mantra l’iper-prestazione, da manager e procuratori (il cui fatturato, se fosse oggetto di una extra-tassazione del 5%, sistemerebbe i fabbisogni dello sport di base per un decennio), da genitori che sui propri figli proiettano, come su uno schermo di un cinema all’aperto, kolossal con protagonista il proprio super-ego, “amici” e consiglieri dei calciatori (chi frequenta un po’ l’ambiente sa di che tipo di fauna sto parlando). Sull’altro versante gli allenatori-educatori hanno visto magari alzarsi il loro stipendio, ma anche mettere il silenziatore a tutti gli strumenti educativi a loro disposizione. Tre partite perse e rischi di andare a casa, una dichiarazione del tuo Presidente e rischi di perdere qualsiasi autorevolezza nello spogliatoio, una contestazione di tifosi e diventi il capro espiatorio. Non so quale angolazione sia la migliore per illuminare la faccenda, ma ho chiaro che, nell’ombra, restano loro: gli allenatori e, per paradosso, i calciatori che dovrebbero essere i protagonisti dello spettacolo e, invece, finiscono nel ruolo delle foche ammaestrate a far roteare la palla sul naso nei pochi momenti di libertà condizionata, per tornare alle rispettive gabbie (magari anche dorate) mentre le luci dello show sono spente. Ecco, dovremmo lavorare su quei momenti: quelli in cui lo spettacolo non è in scena.
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