Scalfari, quel gran «rombo» che finisce in tenerezza
Del resto, con sincerità autobiografica, il fondatore di "Repubblica" ammette: «È naturale che il giornalista non possieda conoscenze approfondite. Sarebbe un Pico della Mirandola e non un impiegato addetto alle notizie. La sua è dunque una cultura dilettantesca, un'infarinatura approssimativa che gli impone qualche approfondimento secondo gli incontri e i temi che gli saranno affidati» (p. 95). Si vede che per la ricerca del senso un qualche "approfondimento" non è stato ritenuto indispensabile, e infatti quando Scalfari si impalca a filosofo sciorina abissi (non diciamo di che cosa) come questo: «Il centro è dappertutto. Dunque in nessun luogo. Il centro implica una circonferenza. Ma se il centro è dappertutto, la circonferenza non è in nessun luogo. Oppure ci sono tante circonferenze quanti sono i centri?» (pp. 48-49).
Lo stile, giornalisticamente scorrevole, talvolta svaria in accensioni liriche: «Incessante romba il tempo e incanutiscono i covoni della tua vita e non sai se sia lui a trasportarti o tu a condurlo verso la foce» (pp. 16-17). Il tempo "romba"? Non come un cannone, se è "incessante", dato che un cannoneggiamento, per quanto intenso, è pur sempre intermittente. Il tempo "romba" dunque come una motocicletta? Curiosi "i covoni della vita". Forse sono i capelli, o la barba: questi sì incanutiscono, ma i "covoni" che, secondo il Devoto-Oli, sono «fasci di spighe (di grano, avena, e di altri cereali)», difficilmente diventano canuti.
Ci sono anche citazioni malcomprese: «Isole dell'aria migrabonde. Questo verso mi torna alla mente tutte le volte che ho davanti agli occhi lo scenario del mare punteggiato dalle terre vaganti della fantasia» (p. 47). Montale indicava le nuvole: Scalfari, sempre con lo sguardo in basso, vede il mare.
È davvero strano quanto poco Scalfari riesca a mettere nei suoi libri degli incontri che nella sua lunga vita ha intrattenuto con personalità politiche, culturali, artistiche di tutto il mondo. Anche Italo Calvino, che è stato suo compagno di scuola, ne esce sbiadito.
Ci sono tuttavia momenti di sincerità: «Noi, giovani e adulti, eravamo tutti fascisti, salvo i pochi che avevano avuto la forza di sfidare il regime e languivano nelle carceri o erano espatriati. Ma quando quella cartapesta andò in frantumi sotto le bombe dei "Constellation", quando i greci ci sconfissero in Albania, quando l'Ottava Armata inglese ruppe il fronte a El Alamein, quando gli americani sbarcarono i Sicilia; quando tutto questo avvenne quaranta milioni di fascisti scoprirono di essere antifascisti» (p. 61).
Ma lo Scalfari preferibile è il «nonno tardivo e perciò tanto più felice»: «Quando la prima volta ho potuto prenderlo in braccio, proprio questo ho sentito: che la mia storia non era finita perché quel fagottino morbido entrato da pochi minuti nel mondo portava dentro di lui anche una parte di me» (p. 147-148). Ma sì, è nella tenerezza che riconosciamo la nostra comune umanità.