La letteratura assai spesso ha cose da insegnare ai sociologi, ai filosofi, ai politici e non c'è dunque da meravigliarsi che Daniele Giglioli, docente di letterature comparate all'Università di Bergamo, abbia scelto come riferimento un romanzo per descrivere, spiegare e, senza pretendere soluzioni tascabili, interpretare, il senso di "frustrazione politica" che caratterizza la congiuntura non solo italiana. Il libro breve e intenso di Giglioli si intitola Stato di minorità (Laterza, pp. 112, euro 14), e il romanzo paradigmatico è il Saggio sulla lucidità di José Saramago (1922-2010) pubblicato in Portogallo nel 2014, come sviluppo di Cecità, romanzo del 1995 che fu decisivo per meritargli il Nobel nel 1998.Saramago immagina che le elezioni amministrative di una sconosciuta città diano un risultato sorprendente: il 70 per cento delle schede sono valide, ma in bianco. Sconcerto del governo che indice una seconda consultazione: le schede bianche arrivano addirittura all'83 per cento. Complotto? I servizi segreti non vengono a capo di nulla. Per stanare i destabilizzatori, il governo organizza un attentato terroristico per farne ricadere la colpa sui "biancosi". Ventitré morti, ma tutto è come prima. La popolazione non reagisce neppure quando vengono soppresse tutte le istituzioni, compresa la polizia. La gente continua indifferente la sua vita. Si trova, per delazione, un capro espiatorio nella moglie di un medico che, nella precedente epidemia di cecità, era l'unica ad aver conservato la vista: un sicario la uccide, ma tutto resta uguale. Forse la cecità è tornata o non se n'era mai andata.Due sono le parole chiave del saggio di Giglioli: "agency", la possibilità di azione, e "dispositivo" che è la parte esecutiva di una sentenza, ma anche qualunque congegno tecnologico abilitato a fare e far fare soltanto quello per cui è stato programmato (telefonino, i-pad, smartphone eccetera). Nel lessico della filosofia e della politica, nel dispositivo si articolano agency e dipendenza, come nel terrorista suicida che muore mentre uccide, facendo implodere «ciò che la logica sociale tiene di norma separato: attività e passività, delitto e castigo». L'effetto che il dispositivo terrorista provoca sugli altri non è tanto o soltanto la condanna, quanto l'orrore paralizzante.Nel dispositivo traumatico, l'esperienza del negativo comporta l'impossibilità di organizzare una reazione: si può solo esprimere pietà per un lutto, uno stupro, un genocidio. Ma «non è tanto l'impotenza a garantire innocenza, bensì la mancata assunzione di responsabilità per la propria inazione a generare il desiderio di sentirsi innocenti, cioè vittime». Nel racconto di Saramago sia il governo sia la popolazione si sentono vittime: il governo, vittima dell'ipotetico complotto, colpendo i suoi cittadini ha esaudito il loro desiderio; e la popolazione, vittima del governo, esercita un potere "destituente" che si sottrae all'opposizione tra potere costituito e potere costituente.«Quando una società ha paura del conflitto – scrive Giglioli – ha paura di sé stessa in quanto rigetta l'antagonismo permanente che la struttura». Attenzione: si parla di "conflitto", non di "scontro" che è la degenerazione violenta del conflitto: «Il conflitto è un processo generativo, creativo: tra genitori e figli, tra maschi e femmine, tra città e campagna, tra piacere e dovere, tra coscienza e inconscio, tra libertà e responsabilità». Di più: è il conflitto e non il consenso, la matrice della democrazia, «l'evento infondato che istituisce il potere del demos, ovvero di coloro che non hanno alcun titolo a esercitarlo se non la decisione di farlo».Pertanto, di fronte alle schede bianche analizzate da Saramago, Giglioli trova, proprio nelle ultime pagine, un'ottima traduzione di agency: iniziativa.