Siamo catapultati in un luogo sospeso, uno spiazzo circondato da un muretto, dove i testimoni si avvicendano, ognuno a raccontare la sua versione: un samurai è stato ucciso nel bosco. Noi udiremo soltanto le risposte dei personaggi e mai le domande, che non sappiamo da dove provengano. Questa Preistoria è un capolavoro assoluto del cinema. Rashomon, di Akira Kurosawa, il maestro giapponese. Il film, 1950, Leone d’oro a Venezia, è ambientato nel Medioevo giapponese, tempo di guerre, e epidemie. Una delle opere prodigiose, in cui, come in certe tragedie e commedie di Shakespeare, più verità coesistono, nella realtà cangiante ma ineludibile del sogno: che è la nostra realtà quotidiana.
Tre uomini (un monaco, un boscaiolo e un vagabondo) si riparano da una pioggia torrenziale, sotto il portico di un tempio. L’occasione per parlare di un “fatto strano”, l’uccisione di un uomo la cui moglie è stata stuprata.
Il boscaiolo è il primo a testimoniare: mentre andava a far legna nel bosco, vide un cadavere.
Il brigante sospettato, Tagiomaru, afferma di avere stuprato Mesago, moglie del samurai, la quale sostiene di avere ucciso lei stessa il marito...I giudici evocano lo spirito del samurai, che sostiene un’altra verità ancora: tutti mentono, o la verità è un sogno da ognuno sognato.
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