Un intoppo burocratico e di comunicazione inefficace ha riproposto, nello scorso fine settimana, il tema dello Ius Soli sportivo, legge dello stato che naturalmente non può essere abrogata da nessuna federazione sportiva e che prevede, grazie a un correttivo scritto nella precedente Legislatura, che siano tesserabili per una società sportiva tutti i ragazzi e le ragazze minori privi di cittadinanza italiana, purché dimostrino semplicemente l’avvenuta frequentazione di un anno scolastico. Se prima dunque lo Ius Soli sportivo era limitato ai bambini e alle bambine dopo il decimo anno d’età, oggi quel limite non c’è più. La confusione circa un aspetto procedurale poco chiaro che ha bloccato i tesseramenti (e che lunedì è stato risolto da una circolare della Federazione Italiana Gioco Calcio) ha tuttavia riacceso un fascio di luce e fatto percepire l’importanza di una norma di civiltà che, peraltro, è in linea con il riconoscimento dei valori educativi e sociali dello sport che, dal 20 settembre scorso, sono anche formalmente scritti nella nostra Carta costituzionale, all’articolo 33. Il tema, in futuro, si riproporrà, non ci sono dubbi, perché lo sport resta lo strumento privilegiato, il più potente a disposizione, per l’inclusione e per la costruzione di un modello di società che già esiste, funziona, e si può incontrare proprio in qualsiasi settore giovanile di qualsiasi disciplina, dove ragazzi e ragazze che hanno diverse sfumature di colore della pelle, provenienze geografiche, credo religiosi, status sociali e conti in banca dei genitori, non sono affatto interessati a quelle differenze e vogliono invece vestire con orgoglio la stessa maglia, collaborare per fare un goal, un canestro, una schiacciata o una meta. Sarebbe davvero opportuno che nel nostro Paese iniziasse una discussione franca sul tema, senza dividersi in tifoserie dei vari tipi di Ius (sanguinis, soli, temperato, scholae, culturae o sportivo) per cercare una soluzione concreta e che rappresenti, per tutti, un’opportunità. Lo sport ha, infatti, il potere di accelerare questi processi, come dimostrò l’allora Presidente della federazione Cricket Simone Gambino, che più di vent’anni fa, si inventò proprio un prototipo di Ius Soli sportivo, per permettere a tanti ragazzi di seconda generazione di avvicinarsi anche in Italia, questa affascinante disciplina sportiva, una delle più diffuse al mondo. Occorre non dimenticare mai, tuttavia, che non può essere il talento (sportivo o di altro tipo) un acceleratore per ottenere un diritto. Correre più forte, saltare più in alto, suonare meglio il pianoforte o fare moltiplicazioni matematiche più in fretta non deve far dimenticare o lasciare indietro chi un talento non l’ha ancora trovato. Tra gli oltre 800.000 minori di seconda generazione (che in tre casi su quattro sono nati qui) che vanno a scuola e parlano anche i nostri dialetti, ci saranno senz’altro talenti sportivi, come talenti nel campo della medicina, dell’arte o dell’ingegneria, ma ci saranno anche coloro che, pur non avendo ancora trovato il proprio talento, devono poter contribuire alla costruzione della nostra comunità, sentendosi nella forma, nella norma e nel diritto, cittadini italiani.
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