Strana vita, quella dei salmoni. Che nascono in acqua dolce, raggiungono il mare per inabissarsi, e dopo anni nell'acqua salata tornano a risalire i fiumi per mettere al mondo la prole. Centinaia di chilometri controcorrente, senza mai nutrirsi, saltando le rapide al contrario, lottando contro gorghi e mulinelli e difendendosi da orsi e pescatori. Solo in pochi arrivano a destinazione. E dopo aver assolto al compito riproduttivo, la gran parte muore per sfinimento. Non sanno che gli toccherà una prova tanto dura. L'unica certezza è di dover andare. E vanno. Non è dato loro di scegliere, per come noi intendiamo la scelta. In cambio li guida una formidabile certezza, qualcosa di simile a una complessa e rischiosa idea di libertà in cui l'uno non è niente e la salvezza della specie tutto. Sempre sbagliato antropomorfizzare il comportamento animale. Ma questa lotta mi ricorda certe passioni, certi furori eroici di gente che va sapendo che ci guadagnerà nulla. Che non si lascia trascinare dalla corrente mainstream, che non cede a un'idea angusta di libertà, che rischia il ridicolo, l'incomprensione, l'isolamento, l'onta.
Va sapendo di dover andare, incurante di perdere per sé, nel tempo contingente della propria vita. Guidata, come i salmoni, da una formidabile e imperscrutabile certezza. Vorrei essere un salmone, e so che non ne sarò capace.