«La tendenza a cancellare il sacro, a eliminarlo interamente, prepara proprio il ritorno surrettizio del sacro, in forma non più trascendente bensì immanente, nella forma della violenza e del sapere della violenza» (René Giraud): in queste parole di uno dei più acuti pensatori cattolici dello scorso secolo ci mette all'erta non solo sul disagio, ma sulla possibilità di un venir meno dell'umanità. Giraud mette abilmente in mostra, in tutta la sua opera, come la competitività tra gli uomini crei il desiderio di emulazione dell'altro, altro che, presunto usurpatore del mio bene, diventa capro espiatorio. La storia ce ne offre infiniti esempi, e parimenti ci ripete quanto ad essa sia sempre sotteso il meccanismo della violenza nei confronti di un cangiante oggetto d'irrazionale invidia che si trasforma in oggetto d'odio: fino al precetto che ne impone la cancellazione, la morte. Il razzismo ne è l'espressione collettiva, e non cessa d'esistere nemmeno di fronte a quello che in linguaggio scientifico si chiamerebbe unicità: la morte di Cristo, immediatamente data come la morte di un capro espiatorio innocente. Così che la comunità attorno a lui raccolta è sciolta dal meccanismo della violenza perpetua che invece, nella comune miscredenza, continua a crescere.