Quando era bambino, si alzava la mattina domandandosi a che ora sarebbero arrivate le botte del padre, quanto freddo avrebbe patito quel giorno nei campi e fino a quando avrebbe dovuto lavorare minacciato da un uomo con la frusta. Quando era ragazzo, non si fece esaltare dai fermenti della rivoluzione: l'età per lui non fu l'alibi per un'illusione. «Non bisognerebbe mai permettere alla lingua di oltrepassare il pensiero», era la sua regola di vita. Così si pagò gli studi in medicina a Mosca ma inseguendo sempre il potere della scrittura, collaborando con un giornale e pubblicando centinaia di racconti. Ironico e leggero nelle sue prime opere («In una sciocchezza c'è più vitalità di qualsiasi tentativo di mediazione»), divenne poi sempre più malinconico e rigoroso. Anton Cechov morì di tubercolosi a 44 anni esprimendo un ultimo desiderio: bere un bicchiere di champagne. Oltre ai suoi personaggi complessi e tormentati alla perenne ricerca di una felicità impossibile, lasciò scritte queste parole: «Il mondo è governato da rospi e coccodrilli: l'angustia mentale, le rivendicazioni spropositate, l'eccesso di autostima e la totale mancanza di qualsiasi coscienza determinerà un'atmosfera così soffocante che ognuno ne sarà nauseato…». Era il 15 luglio del 1904, 116 anni oggi. Sembra oggi.