I Giochi Paralimpici sono ancora, purtroppo, considerati una sorta di appendice ai Giochi Olimpici. L'eco delle storie colme d'ispirazione che ci sono arrivate da queste giornate di Rio de Janeiro, ha avuto oggettivamente meno risonanza di quella che riempiva le nostre case nel mese di agosto.Eppure ci sono intrecci meravigliosi che fanno pensare che, forse, un'idea che sembrava un'utopia potrebbe, un giorno, realizzarsi: quella di poter vedere i Giochi Paralimpici come parte integrante dei Giochi Olimpici stessi. Stesso periodo e stesso palcoscenico. Non potrà succedere né ai Giochi invernali di Pyeongchang 2018, né a quelli estivi di Tokyo 2020, visto che le decisioni dai rispettivi comitati sono già state prese. Qualche atleta straordinario ha però anticipato i tempi.Il primo in assoluto fu il soldato etiope Abebe Bikila, la cui impresa è scolpita nella storia grazie a una fotografia meravigliosa: quella scattata il 10 settembre 1960 al suo vittorioso arrivo della maratona, corsa a piedi scalzi, sotto l'arco di Costantino, a pochi passi dal Colosseo.Otto giorni dopo, proprio Roma inaugurò la prima edizione assoluta dei Giochi Paralimpici. Abebe Bikila, in quel momento ancora non poteva saperlo, né che avrebbe preso parte a Heildelberg nel 1972, nella disciplina del tiro con l'arco, dopo essere stato vittima nel 1969 di un incidente automobilistico che lo avrebbe costretto su una sedia a rotelle, paralizzato dal bacino in giù.L'arciera iraniana Zahara Nemati, invece, ha partecipato proprio quest'anno sia ai Giochi Olimpici (dove era la portabandiera della delegazione iraniana) sia a quelli Paralimpici, arrivando rispettivamente quarantanovesima e prima. La sua delegazione, quella dell'Iran, ha pagato anche il primo tragico tributo ai Giochi Paralimpici: la morte del ciclista Bahaman Golbarnezhad caduto in discesa nel corso della gara della sua categoria.E se gli azzurri più noti al grande pubblico, Alex Zanardi e Bebe Vio, hanno portato a casa quasi una mezza dozzina di medaglie, forse pochi sanno che la nostra Assunta Legnante, medaglia d'oro paralimpica nel getto del peso sia a Londra che a Rio, ha partecipato, nel 2008, ai Giochi Olimpici di Pechino.Ha destato stupore ed emozione anche l'impresa dell'Algerino Abdellatif Baka che ha vinto i 1.500 con un tempo inferiore a quello fatto registrare dallo statunitense Matthew Centrowitz, medaglia d'oro ai Giochi Olimpici di un mese prima.È tuttavia sfuggito ai più che, in quella stessa gara, la medaglia d'argento paralimpica è andata all'Etiope Tamiru Demisse che sul traguardo, e poi sul podio, ha incrociato i polsi con il gesto delle manette come aveva fatto Feyisa Lilesa, argento nella maratona olimpica e come fanno tutti i giorni gli Oromo, etnia sottoposta a una durissima repressione da parte del governo di Addis Abeba. Anche in questo caso si è parlato decisamente meno di questo secondo gesto, nonostante sarà esattamente lo stesso il rischio a cui andranno incontro questi due atleti dalle differenti abilità, ma dallo stesso coraggio. Roma, nel 1960, fu dunque scelta come la città adatta a ospitare i primi Giochi Paralimpici della storia. Perché, allora, non essere ancora all'avanguardia e proporre l'idea di un palcoscenico unico per i Giochi del 2024? Stesso periodo, stessa cerimonia di apertura, stesso pubblico, stessi impianti, stessa attenzione mediatica.Per Roma potrebbe essere l'occasione non solo per mettersi alla prova con una sfida storica, ma per proporre un definitivo cambio di paradigma e insegnare al mondo che gli atleti paralimpici, e le loro storie di resilienza, non possono essere considerati come i "figli di un Dio minore".