Rivoluzione e grandeur: la complessità di Malraux
riconoscendosi in dilemmi ideologici che erano poi quelli di ogni rivoluzione: il ruolo dell'individuo e il ruolo dell'organizzazione, le difficoltà di accordare i fini con i mezzi.... I conquistatori mi attrasse perché raccontava l'azione dei “rivoluzionari di professione” venuti da fuori in Asia a organizzare o controllare i movimenti di rivolta, la rivoluzione: i membri, in definitiva, della Terza Internazionale. Malraux, di formazione individualista e anarcoide, sapeva il valore dell'organizzazione come sapeva quello dell'individuo e delle sue aspirazioni. Amato dalla sinistra fu poi dalla stessa
svillaneggiato quando sostenne il ritorno di De Gaulle (con cui aveva fatto la Resistenza), che fu peraltro l'artefice della pacificazione algerina, e per De Gaulle fu ministro della cultura. La cultura divenne il suo orizzonte privilegiato, la sua “specialità”. E fece interventi egregi, anche se segnati dal culto gollista della grandeur. Un altro motivo per non disprezzare affatto Malraux e per ripensare con simpatia anche alle sue contraddizioni, lo trovo in due grandi personaggi del '900 che ho avuto la fortuna di conoscere, lo scrittore spagnolo antifranchista José Bergamin, che egli
protesse nell'esilio in Francia, e il nostro Nicola Chiaromonte, i cui cultori amano dimenticare che egli fu anche uomo d'azione, e che prese parte alla guerra di Spagna proprio nella squadriglia aerea ideata e animata da Malraux, quella di cui si racconta in La speranza... Malraux merita che lo si rilegga, e lo si discuta alla luce di una storia che è stata molto più contraddittoria e complessa della vulgata comunista all'italiana. È stato e resta uno dei grandi personaggi e dei grandi scrittori dello scorso secolo sul fronte dei più radicali dei conflitti e dei cambiamenti, e ci sarebbe molto da impararne, meno che da Camus e forse da Sartre, ma comunque non poco, anzi tanto.