Andrea lavora in un’azienda di sanificazione e ha clienti in tutt’Italia. La sede è in Piemonte, ma non può andare nel Salernitano, dove ha sviluppato il business: il massimo permesso è un raggio di 300 chilometri, andata e ritorno, perché non ci sono alberghi dove dormire, men che meno luoghi dove mangiare. Bisognerebbe dormire in auto, portarsi scatolette e acqua, rischiando di trovarsi stanchi alla guida. Non è solo questione di turismo, ma di servizi essenziali che dovrebbero essere garantiti con le dovute precauzioni. Ma chi si muove, mentre si discute ancora di protocolli? Vittorio Moretti, a capo di un gruppo con 700 dipendenti (edilizia, vini, ristoranti e hotel) ha scelto di mappare lo stato di salute attraverso i test sierologici, aprendo una strada che potrebbe essere imitata (ma a quali costi?). «L’assenza dello Stato – ha dichiarato lo chef Alessandro Borghese – sta radendo al suolo la ristorazione; in questa situazione si può resistere soltanto un altro mese». Certo il risveglio dell’11 maggio è stato da carota e bastone, dove la prima è l’inevitabile apertura delle attività il 18 maggio e la seconda sono le distanze esagerate di cui si parla: 4 metri fra ogni tavolo e due metri fra i commensali, che significa la perdita di 4 milioni di posti a sedere, pari al 60%. Le immagini che girano nei tg, fra guanti, mascherine e plexiglass, raccolgono il commento: «In quelle condizioni non vado certo, prendo i piatti al take away e me li mangio a casa». Così in teoria, per far quadrare il conto economico, un locale dovrebbe fare take away, delivery e servizio ai tavoli. Con quale personale? La Confcommercio grida l’allarme: 270 mila negozi a rischio di chiusura. Resta poi aperta la questione del personale per la raccolta di frutta e verdura: in attesa della sanatoria degli extracomunitari c’è un popolo di cassaintegrati, studenti, gente senza lavoro che sarebbe pronta a qualsiasi impiego, salvo poi scoprire che l’offerta è di 5 euro all’ora in nero. La “fase 2” porta con sé un macigno psicologico che ha già indotto 25 casi di suicidio, e non è facile “resistere”, benché il mantra del governo da due mesi resti «Non lasciare indietro nessuno». Già, ma se gli anelli delle filiere sono spezzati, non è coi soldi a pioggia (i cui interessi pagheranno i nostri figli) che si ricuce un sistema... Piuttosto serve l’ascolto, quando si mettono in essere protocolli che riguardano settori specifici dell’economia; un tempo la chiamavano “concertazione”, realtà che oggi sembra seppellita dalla figura della task force di esperti. Che però possono mortificare quello di cui abbiamo bisogno oggi: l’assunzione di responsabilità.