Riforma penitenziaria. Ci sono più luci che ombre in un contesto non facile
Il pomeriggio al Csm ha fatto risuonare temi cari a questa rubrica; il collegamento tra politiche penitenziarie e politiche sociali; la pena detentiva come extrema ratio, la giustizia riparativa, la magistratura di sorveglianza come garante della flessibilità e della personalizzazione della pena e del relativo trattamento. Notevole la convergenza, da parte di coloro che hanno preso la parola, sulla valutazione positiva, sia pur con diverse gradazioni, del contenuto delle modifiche e del loro spirito complessivo: ciò vale per i due relatori, i professori Giovanni Maria Flick e Marco Ruotolo, per gli interventi dei consiglieri Csm Paola Balducci e Piergiorgio Morosini come per quelli di Mario D'Onofrio (procuratore della Repubblica presso il tribunale di Alessandria), del Vicepresidente Giovanni Legnini e di Giulio Romano (procura generale Cassazione).
Il seminario è stato occasione per riaffermare che le disposizioni costituzionali sulle pene, anche e soprattutto nell'interpretazione che ne ha dato la giurisprudenza costituzionale a partire dalla fondamentale sentenza 313 del 1990 (relatore Ettore Gallo), sono incentrate sulla finalità rieducativa, la quale ha una portata assai ampia ed estesa poiché si impone non solo ai giudici dell'esecuzione e della sorveglianza, oltre che alle autorità penitenziarie, ma altresì al giudice della cognizione, cioè al magistrato che deve deciderle con le note conseguenze in tema di proporzionalità. La portata innovativa del principio si impone anche e soprattutto al legislatore e le norme contenute nello schema di decreto legislativo sono parse andare nel solco della Costituzione. Più luci che ombre, dunque, nonostante il contesto attuale non facile. Anzi, come ha affermato chi scrive, anche le ombre sembrano attenuazioni di luce, quasi anticipazioni ancora incompiute di quella luce che la Costituzione irradia anche su questi temi.