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Rifondare lo Stato partendo da una riforma morale

Cesare Cavalleri mercoledì 21 settembre 2011
E' sempre interessante assistere a un dialogo fra persone intelligenti, e quindi Pensare l'Italia (Einaudi, pagine 152, euro 10) lo si legge volentieri. L'antichista Aldo Schiavone (A.S.), già direttore dell'Istituto Gramsci, e il contemporaneista Ernesto Galli della Loggia (E.G.d.L.) tentano un bilancio della situazione del Paese a 150 anni dall'Unità. Che cosa è mancato? Come mai ci troviamo in questo smarrimento? Ci salverà l'Europa? In che cosa possiamo sperare? A.S. tende a ragionare in termini di lotta di classe, di ciclo economico, con logori addebiti alla Controriforma per il mancato approdo italiano nella modernità, e E.G.d.L. talvolta perde la pazienza: «La Chiesa ha riempito un vuoto, non l'ha creato», ribatte. «Ci è mancato soprattutto lo Stato, la monarchia assoluta di ambito nazionale. Il disciplinamento sociale della Controriforma è stato un surrogato del mancato disciplinamento altrove esercitato dallo Stato monarchico». Interpretazione sorprendente, da parte di E.G.d.L., che denuncia l'«iperpoliticismo», ma resta all'interno di quella logica, auspicando in qualche modo che sia lo Stato a dotare di «spirito civico» i cittadini. A.S. si sloga fino ad affermare che «senza il Pci e il suo marxismo noi non potremmo nemmeno parlare di democrazia italiana» ed E.G.d.L. reagisce vivacemente. Entrambi, giustamente, lamentano lo sfascio del sistema scolastico a partire dal '68, e mentre A.S. ne addebita la colpa alla Democrazia cristiana, E.G.d.L. rende corresponsabile la cultura di sinistra «che ha voluto, con tutte le proprie forze, i famigerati Decreti delegati», lamentando anche «la cultura pedagogica scervellata dei vari don Milani e De Mauro». Insomma, un confronto di idee vivace e suggerente, a cui sfugge però un risvolto non irrilevante del problema, che è di carattere morale. L'Italia non è patria né nazione perché manca di un ethos unificante e condiviso o, meglio, perché l'Unità è stata costruita senza tener conto di quell'ethos che pure c'era, ed è la morale naturale interpretata dalla religione cattolica. Il "Codice Pisanelli" del 1865, per esempio, escludeva il divorzio perché contrario al bene comune, e Pisanelli non era certo un cattolico (saranno i ministri democristiani, nel 1970, a tollerare il divorzio nell'ordinamento italiano): ma non si può condividere quell'ethos e nel contempo costruire uno Stato contro la Chiesa che di quell'ethos è garante e custode. È questa contraddizione a minare lo Stato italiano fin dal suo sorgere e, di passaggio, E.G.d.L. se ne accorge quando, rintuzzando l'interpretazione "progressista" che A. S. dà del '68, afferma: «Sì, va bene, ora, a differenza di un tempo, tutti si accoppiano liberamente: e allora? Alla fin fine la grande modernizzazione mi sembra essersi ridotta al puro e semplice abbandono (e lasciami aggiungere superficialissimo) dei princìpi dell'etica tradizionale di stampo cattolico. Devo dire la verità: non mi sembra una grande conquista». Ecco: bisognerebbe convincersi che occorre ripartire da lì. Da una coraggiosa riforma morale, senza proclami e bandiere al vento, ma prendendo atto che una società impregnata di relativismo etico non può che marcire come sta marcendo, tanto più se «i costituzionalisti sono diventati una specie di vestali dell'esistente, e dunque carissimi in genere al ceto politico tradizionale». «Negli ultimi anni», incalza E.G.d.L., «il conservatorismo giuridico-costituzionale si è ammantato della necessità di opporsi alle insanie del revisionismo costituzionale berlusconiano. Ma forse che alla metà degli anni Ottanta, mi domando, quando Giuliano Amato lanciò l'idea di una "grande riforma" anche in tema di Costituzione, la sua proposta fu per caso accolta in modo favorevole da parte dei cosiddetti "giuristi democratici", che poi sono quasi tutti?».