Stavo dall’altra parte e mi sono perso lo spirito del ’94: la rivoluzione liberale. Ricoverato in chirurgia ho votato, in ospedale, per la gioiosa macchina da guerra: la rivoluzione democratica. I risultati della catastrofe me li ha dati l’infermiere che, depilandomi, mi preparava per l’intervento: – sarà una macelleria sociale – disse brandendo il rasoio. Un video splatter? Rimandai al dopo quello sconforto che non sarebbe mai arrivato; niente come una convalescenza è confacente al riposizionarsi nella vita. Non mi ero mai perso un’elezione, un referendum, sempre a difesa dell’uomo e dell’umanità, ma da allora, senza accasarmi, mi presi delle libertà. Scheda bianca, scheda nulla, nessuna scheda. Non fu dannata l’umanità né crollò il firmamento. Depennai dal mio vocabolario la parola rivoluzione indipendentemente dall’aggettivo, non c’è limite al peggio, che la qualifica. Lo feci per guardare il cielo serenamente: gli astri in perenne revolutio, astronomico ritorno. Scoprii una storia, una mia ragion d’essere oltre ciò che mi raccontavo dagli anni della adolescenza e mi ritrovai molto più vecchio dell’età beat che credevo mi avesse originato. Volendo potevo persino riassaporare il gusto dell’Editto di Rotari. Ho votato Casini per pentirmene, ho votato la Lista Pazza e mi sorride il cuore: come alternativo e minoritario me la cavo piuttosto bene anche senza volerlo. Ho votato Lega per qualche buon motivo e tanta insofferenza. Non ho mai votato Berlusconi e un po’ mi dispiace. Non l’ho votato per senso estetico. Non ci posso fare niente. Tutto il razionale del mondo ma al dunque, nel segreto dell’urna, il voto è un gesto primordiale, conserva valore sacrale e l’estetica è fondamentale in ogni liturgia. Adesso che pare si sia perso lo spirito del ’94 un po’ me ne sento parte. Quel “Forza Italia” che mi aveva fatto rabbrividire: – come si permette? – detto da uno, me, che ai mondiali, detestando il calcio, tifava dal Burkina Faso alla Finlandia pur di non gioire con la parola Italia e la cui massima aspirazione era diventata farne un paese normale, come Olanda, Norvegia, Belgio, la Svizzera no che lo è troppo, quel “Forza Italia” è perfetto per entrare nella leggenda. Sono di destra? Divina, direi con Camillo Langone, ma detto da me mi sento coglione. Conservatore per buon senso atavico, tradizionalista per senso estetico, morigerato perché so di qualche vizio, quel tanto di anarchico ed individualista che serve fronte ad un potere mediatico che tende ad assolutizzarsi quale Ente Morale Supremo, Porno Puritano, garante di una felicità senza rischi. Non ce l’ho con la politica, ne accetto le incongruenze e non mi aspetto granché, ma ne ridurrei le parole ad un vocabolario sobrio e funzionale. Eviterei ogni iperbole. Ripetere per vent’anni – macelleria sociale – la eleva ad insignificanza o la incita come opera meritevole. Quanto ai nuovi mezzi tecnologici che dovrebbero garantire la rigenerazione della politica o addirittura la sua rinascita, ho già dato, per limiti d’età, con video-tape e radio libere. Il fatto che oggi possa ridere di me, dei miei mâitre à penser, non garantisce altre risate in futuro. Certo non fa ridere gli allora giovani iraniani che diffondevano cassette e videoregistrazioni di uno sconosciuto Imam accasato nella periferia parigina ed hanno così potuto realizzare la loro rivoluzione. Quanto ai giovani delle piazze arabe così moderni e fiduciosi nella forza della comunicazione sono destinati a subire la comunicazione di una forza ben più pressante e non sarà twitter né un blog a salvarli. Né salverà noi. C’è un piccolo libro, sul mio tavolo, a portata di mano: In margine a un testo implicito di Nicolás Gómez Dávila. Dopo le prime letture travolgenti e incredule bastano, ora, poche righe al bisogno; posso aprirlo a caso quando sono preso da scoramento intellettuale. Il primo aforisma che ho memorizzato è diventato il mio piano personale di sopravvivenza: costruire rifugi contro l’inclemenza dei tempi.