Ridere degli errori altrui fa crescere solo i «like»
Leggendo questi deliri qualcuno si indigna, qualcun altro si deprime constatando il livello raggiunto da una parte del genere umano, mentre i più si fanno grasse risate. A questo punto dovremmo però chiederci: perché così tante persone si divertono davanti alla stupidità altrui? Sul tema hanno scritto nei secoli filosofi, pensatori e scrittori. Tra quest'ultimi non va dimenticata la fulminante trilogia di Fruttero & Lucentini sulla stupidità umana (da «La prevalenza del cretino» del 1985 a «Il ritorno del cretino» del 1992 passando per «La manutenzione del sorriso» del 1988). Tutti volumi scritti ben prima della nascita dei social. Segno che il problema non è nato col digitale, ma con l'uomo. Eppure, tutti oggi si ricordano quando Umberto Eco definì i social «l'invasione degli imbecilli» e quasi tutti, ogni volta che ci pensano, muovono la testa in segno di approvazione.
Che i social scatenino anche il peggio delle persone è un dato di fatto. Ma il problema – per chi non vuole limitarsi a deridere gli altri o a prendersi beffa degli stupidi – è vasto quanto serio. Secondo l'Ocse, infatti, solo in Italia ci sono quasi 11 milioni di analfabeti funzionali. Sono persone che non sanno comprendere un contratto o un articolo. Quindi, si informano "per sentito dire". Cioè attraverso dichiarazioni semplici, frasi ad effetto o con ciò che gli raccontano amici e parenti. A esserne colpiti è anche il 20,1% dei diplomati e il 4,1% di laureati. Perché, ad esempio, niente garantisce a un fisico di saper comprendere tutto. Soprattutto in un mondo dove l'iperspecializzazione rischia di chiuderci in bolle dove si parla solo di alcune cose e con termini sempre più tecnici.
Già nel 1930 il filosofo José Ortega y Gasset nella sua «Ribellione delle masse» aveva centrato un ulteriore problema evidenziato oggi dai social: tutti siamo sciocchi e sapienti insieme. L'essere esperti in un campo (ammesso che lo siamo davvero e non sopravvalutiamo noi stessi, cadendo nell'effetto Dunning-Kruger, cosa che accade a molti) non ci mette in salvo rispetto alla possibilità di dire sonore sciocchezze su mille altri argomenti. Se da questo ci può salvare una bella iniezione di modestia e di prudenza ("rifletti, prima di parlare", ammonivano i nonni), l'altro problema resta. Come possiamo aiutare chi si informa per sentito dire (sulla politica ma anche sulla religione, la Chiesa o il Papa) a conoscere la verità? Non è una questione che riguarda solo il mondo dell'informazione ma chiunque abbia a cuore l'educazione e la crescita dei propri fratelli. Perché ridere degli errori altrui sui social (o in una cena) può anche essere per certi versi consolatorio e assolutorio, ma non fa crescere di un millimetro la società. Peccato che a chi si diverte a creare post provocatori destinati "a stanare gli stupidi", il prossimo spesso interessa meno di un like.