Ridare spazio alla cultura
È l'effetto della guerra casta-anticasta e dell'illusione per cui – in ogni campo – uno vale uno. Con buona pace del merito dell'individuo, della competitività di una società, della capacità di sviluppo di un Paese. Eppure, ci ricorda Nichols che «una società moderna non può funzionare senza una divisione sociale del lavoro e senza affidarsi a esperti, professionisti e intellettuali… Quando, un tempo, ogni colono si tagliava da solo gli alberi e si costruiva la sua casa, si trattava di un sistema inefficiente e, per di più, si producevano soltanto abitazioni rudimentali».
Mi chiedo e vi chiedo: è un fenomeno visibile solo negli Stati Uniti? Direi proprio di no: la "morte della competenza" è ben riconoscibile anche in Italia. Lo dimostra una lunga sequenza di episodi, dall'ormai celebre rivalsa contro i laureati del diplomato Lino Banfi all'atto della sorprendente nomina come rappresentante dell'Italia nella Commissione Unesco («basta con tutti questi plurilaureati») all'incredibile parabola dei "no vax". Peraltro questo fenomeno si somma, nel nostro Paese, con la grande diffusione dell'analfabetismo funzionale, che secondo Tullio de Mauro riguarderebbe addirittura l'80% degli italiani. Partendo da un dato di fatto: quasi il 50% dei nostri connazionali non ha conseguito un diploma di maturità o una laurea.
Per invertire il trend, c'è solo una ricetta: diffondere cultura. Investendo sulla centralità della formazione superiore e dell'università, supportando la vendita dei libri, rivitalizzando il servizio televisivo pubblico come strumento di crescita degli italiani. È una strada lunga e difficile, ma senza alternative.
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