Rosi e Alessandro, la prima erborista in Val Passiria, il secondo, chef di vaglia a Cavalese, dove realizza la sua cucina “Dolomitica” da 30 anni. In comune hanno il bosco, che è il riferimento quotidiano della propria attività. Li ho conosciuti in questi giorni, vis a vis, e m’hanno riportato indietro nel tempo, mostrandomi come la tradizione sia una cosa viva che diventa contemporanea.
Rosi scopre il libro delle erbe di nonna Agnes, quando si ritrova incinta e decide di non assumere alcuna medicina. Da questa scelta le si apre un mondo, perché quello che la nonna raccoglieva nei boschi era un dono, frutto dell’empirismo e dei saperi che si tramandavano da secoli. Ma lei si è messa a studiare, arrivando poi a scrivere dei libri, per dare un fondamento scientifico alle sue produzioni che rivende nella casa a San Leonardo in Passiria, poco dopo Merano. Ecco il Froningero, tisana per il benessere di tutto il corpo e il Passer, con funzione depurativa, e poi una serie di creme per il corpo, efficaci nel caso di dolori, come quella a base di arnica. Quindi il MaWohl e il HaWohl, due estratti di erbe basati su un'antica ricetta, utilizzata per secoli, per chi ha problemi di intestinali o per il mal di gola.
Alessandro Gilmozzi ha fatto un percorso simile, facendo emergere nei piatti la purezza del gusto, la freschezza, dimostrando che il segreto della grande cucina italiana è in quello che già sapevamo. Un piatto iconico che cucina a El Molin è l’ Icy Corteccia, un gelato alla corteccia di cirmolo con crumble
di sottobosco: mirtillo, ginepro, betulla candita, nocciola selvatica e lichene candito. Nel suo menu i piatti mostrano l’essenza dei gusti, dal plin di lepre alla minestra di funghi, ma quando assaggi la radice di prezzemolo, che mai ti era apparsa così grande, resti spiazzato dalla semplicità di quei gusti netti.
Nel suo sito Internet scrive: «Solo le forme e le persone capaci di lasciare un segno incisivo superano il tempo e divengono tradizione». E in questi giorni, pensando a tutto ciò che ci hanno trasmesso quei laboratori della storia che sono stati i monasteri benedettini, viene da pensare alla grandezza di una forma, la Chiesa, e a un Papa, Benedetto XVI, che evidentemente ha lasciato un segno, come dimostra la clamorosa partecipazione popolare giunta da ogni dove, per rendergli omaggio.
Da qui l’Appello di inizio d’anno: la necessità di non dimenticare mai da dove veniamo, in una strada illuminata dai santi. Una su tutti, conterranea di Benedetto e come lui teologa, sapiente nella conoscenza di tutta la natura: Hildegarda di Bingen.