Uno scritto dell'Antico Testamento ormai molto vicino a Gesù, il libro della Sapienza si pone anch'esso una domanda a proposito dell'incapacità dell'uomo a riconoscere Dio attraverso le cose create: «Perché, se sono riusciti a riconoscere tanto da poter esplorare il mondo, come mai non ne hanno trovato più facilmente il sovrano?» (Sap 13,9). Il punto di partenza del ragionamento del nostro autore è il seguente: «dai beni visibili non furono capaci di riconoscere colui che è» (13,1). Ciò che viene addebitato ai miopi osservatori del creato non è stavolta la catena di sciagure che distrugge i rapporti umani, come nella lettera ai Romani, bensì una specie di eccesso di senso estetico. Dopo aver passato in rassegna i corpi celesti l'autore dice che per il loro splendore e fascino l'uomo li ha scambiati per dei, fermandosi come a metà strada, senza arrivare a colui che «è principio e autore della bellezza» (13,3). Oltre al fattore estetico vi è un altro elemento che l'uomo non ha saputo superare, arrendendosi a quel diaframma che è la potenza ed energia presente nel cosmo, anche queste assolutizzate. Il percorso completo invece è il seguente: «Dalla bellezza e grandezza delle creature per analogia si contempla il loro autore» (1,5).