Non è obbligatorio che un Papa sia simpatico. Forse, neppure obbligatorio è condividerne tutte le opinioni. Del resto, così come siamo un popolo di commissari tecnici, non ci sarebbe poi tanto da stupire nello scoprirci anche un popolo di... Papi. Un conto, però, è per esempio dire che papa Francesco ha una posizione troppo «morbida», se non «molle», sull'islam, un altro conto è affermare, per corroborare quella tesi, che «ben diversa» era sullo stesso argomento la posizione di Benedetto XVI. Nel primo caso può trattarsi, appunto, di un'opinione, anche se andrebbe dimostrata; nel secondo caso si tratta sicuramente d'ignoranza, se non vera e propria mistificazione. Lo scorso agosto, rientrando dalla Polonia a Roma, richiesto di commentare l'assassinio di padre Hamel avvenuto in Francia, papa Bergoglio disse: «A me non piace parlare di violenza islamica... Gli islamici non sono tutti violenti… è come una macedonia, ci sono i violenti nelle religioni. In tutte le religioni c'è sempre un piccolo gruppetto fondamentalista. Anche noi ne abbiamo». Nel luglio del 2007, subito dopo i primi attentati a Londra, Benedetto XVI, intercettato in Val d'Aosta da un gruppo di giornalisti diede una risposta quasi identica, dribblando il trabocchetto insito nella domanda postagli: «Non direi violenza islamica, si tratta di piccoli gruppi fanatizzati, e non dobbiamo confondere». Da questo punto di vista, la posizione di papa Ratzinger è sempre stata assolutamente cristallina. Mai una volta, di fronte alle molte stragi avvenute durante il suo pontificato, Benedetto XVI ha usato espressioni che potessero in alcun modo essere interpretate come un'equiparazione tra islam e terrorismo. Ma casomai ha parlato di «strategia di violenza», di «pernicioso fanatismo di matrice religiosa», di «falsificazione della religione stessa», come fece per esempio nel discorso i membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede del 7 gennaio 2013. Nella sua lettera Ecclesia in Medio Oriente del 2012, ancora Benedetto XVI ricordava, a proposito della natura dell'islam, che «i musulmani codividono con i cristiani la convinzione che in materia religiosa nessuna costrizione è consentita, tanto meno con la forza», e che «la minaccia del fondamentalismo tocca indistintamente e mortalmente i credenti di tutte le religioni». Tale e quale quanto riaffermato da Francesco nella Evangelii Gaudium, dove, ha scritto, «di fronte a episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l'affetto verso gli autentici credenti dell'islam deve portarci a evitare odiose generalizzazioni, perché il vero islam e un'adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza». E con ancora maggior forza, intervistato dal quotidiano francese "La Croix": «È vero che l'idea della conquista appartiene allo spirito dell'islam. Ma si potrebbe interpretare secondo la stessa idea di conquista la fine del Vangelo di Matteo, quando Gesù invia i suoi discepoli a tutte le nazioni. Di fronte al terrorismo islamico, sarebbe meglio interrogarci sul modo in cui un modello troppo occidentale di democrazia è stato esportato in Paesi come l'Iraq». Quanto poi al discorso di Benedetto XVI a Ratisbona, che qualcuno insiste a considerare come una lezione sul problema che l'islam avrebbe con la violenza di matrice religiosa, a questo riguardo sarebbe ora di stendere un velo pietoso di silenzio. Invitando, semmai, ad andarselo a rileggere, sul serio e con attenzione: così, magari, finalmente si capirebbe come sia stato possibile che un paio di sciagurati lanci di agenzia abbiano fatto diventare quella riflessione uno schiaffo all'islam, invece che consegnarla alla storia per quello che era: ossia un poderoso pugno (morale) nello stomaco a un Occidente che insiste nel considerare le tradizioni religiose alla stregua di sottoculture. Questa sorta di analisi comparata potrebbe andare avanti per ore. Solo per confermare non solo quanto stupefacente sia la continuità tra i magisteri di Benedetto e Francesco, ma anche per rendersi conto di come essi, a loro volta, siano il naturale, logico proseguimento di quanto perseguito con tutte le sue forze da Giovanni Paolo II. Che al dialogo ha voluto consacrare alcuni dei momenti più alti del suo pontificato, a cominciare dal'incontro di preghiera per la pace di Assisi.