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Retorica e populismo nella fiction Mediaset

Andrea Fagioli venerdì 9 settembre 2016
Primo grande duello di stagione a suon di fiction. Stando all'auditel, la collaudata Un medico in famiglia di Rai 1, giunta alla decima edizione, l'ha spuntata di gran lunga mercoledì sera sulla debuttante Rimbocchiamoci le maniche di Canale 5: quattro milioni e mezzo di telespettatori, con uno share al 20%, contro tre milioni e mezzo e uno share di cinque punti più basso. Banfi e Scarpati sono riusciti pure a partire un po' prima. Questione di minuti. E pensare che dovevano andare in onda solo di giovedì. Fatto sta che Sabrina Ferilli, che ha ideato e fortemente voluto questa storia in otto puntate di un'operaia che diventa sindaco, ha dovuto ingoiare nella realtà il boccone amaro già ingoiato nella prima parte della fiction quando nei panni di Angela Tusco si trova alle prese con la chiusura della fabbrica dove lavora, con la separazione dal marito che l'ha tradita e con i tre figli di varie età che soffrono lo sfaldamento della famiglia. Nella finzione la Ferilli, alias Angela Tusco, si riscatta alla fine della prima puntata con l'elezione a sindaco di Offidella, immaginaria cittadina del Lazio, sul mare, che nella realtà corrisponde a Offida, città delle Marche, nell'entroterra, al confine con l'Abruzzo, che per drammatica casualità è pure una delle zone colpite dal terremoto del 24 agosto scorso. Vedremo, invece, se la Ferilli diretta da Stefano Reali si riscatterà mercoledì prossimo negli ascolti. Intanto Angela dovrà vedersela con l'avidità, le ripicche e i pregiudizi di molti dei concittadini che popolano la fiction di Canale 5 in cui i temi d'interesse non mancherebbero: ci sono la crisi del lavoro, la politica lontana dalla gente, il fenomeno delle liste civiche, la democrazia come partecipazione diretta, le pari opportunità, il bullismo e c'è persino l'uso distorto e non dei social. Ma il tutto è trattato con troppa retorica: buonista quando si racconta l'impegno di Angela e di altri come lei; aspramente critica, fino a rasentare il populismo, quando si parla della politica istituzionale. Resta comunque apprezzabile il senso del dovere, ma soprattutto del bene comune che pervade alcuni personaggi, anche se andavano sviluppati un po' meno a macchietta (si pensi ad esempio al giovane e intraprendente giornalista che punta tutto sulla rete). I “buoni” anche in questo si dovevano distinguere meglio dai “cattivi”.