Da lontano di sera il molo brillava di riflessi bianchi luccicanti. Sembravano ali di farfalle. Da vicino erano alici che si dibattevano a centinaia. Dei predatori le avevano incalzate e loro erano balzate fuori dall’acqua. Mi sono messo a ributtarle in mare a manciate, poi una alla volta. Dovevo fare presto, resistono poco a boccheggiare. Era buio, pioveva piano, pioggia di scirocco. Ho imparato a pescare pesci, toglierli dal mare, non rimetterli. Ma non mi è passato per la testa di raccoglierli per farne frittura. In quel momento non erano pesci, ma vite intrappolate fuori. Per associazione o per dissociazione mi è venuto il ricordo dei naufraghi issati a bordo del battello di Medici Senza Frontiere, un aprile di qualche anno fa. Esausti, erano sul confine tra vivere e affondare. Issati a forza uno per uno, erano anchilosati dalle posizioni compresse nelle zattere. I loro predatori li avevano decimati fino alla fuga dalla terraferma. Una sera di ottobre restituivo al mare le sue alici, ripensando a un aprile in cui il mare restituiva dei naufraghi a un battello di strani pescatori salva-gente.
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