Il primo paradosso del ddl Calderoli, con tutte le sue criticità, è che a rigore non sarebbe necessario per l’attuazione dell’autonomia differenziata. Nell’art. 116 della Costituzione, così com’è stato riformato nel 2001, non c’è traccia di un provvedimento di questa natura. Tant’è vero che nel 2018 il governo Gentiloni era arrivato a sottoscrivere accordi preliminari con Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna in assenza di una legge-quadro sulle modalità di attuazione. Legge che compare tra i provvedimenti collegati alla manovra di bilancio a partire dalla Nota di aggiornamento al Def 2020. Uno sviluppo comunque opportuno che rappresenta il tentativo di ridimensionare gli effetti più indesiderabili della frettolosa e incompiuta revisione del Titolo V della Costituzione. È di questa, prima dell’autonomia differenziata e a maggior ragione in vista di essa, che dovrebbero essere messi all’ordine del giorno il completamento e l’attuazione. A cominciare dall’introduzione di una “clausola di supremazia” che consenta allo Stato di intervenire di fronte alle crisi e alle emergenze (nel caso della pandemia è stata enucleata sul campo dalla Corte costituzionale in base all’esclusiva statale della profilassi internazionale) e dall’istituzionalizzazione di una sede alta e trasparente di confronto e di coordinamento tra lo Stato e le Regioni, che non può essere surrogata dalla pur utile “conferenza” attualmente prevista.
Si tratta di misure di rango costituzionale – motivate dalla concreta esperienza nostrana ma anche dal raffronto con gli ordinamenti degli Stati compiutamente federali – che possono trovare spazio in una stagione in cui si discute di riforme ben più impegnative. Così pure bisognerebbe avere il coraggio di avviare una riflessione sulle 23 materie per le quali è possibile chiedere la “superautonomia” secondo gli artt.116 e 117 della Costituzione. Sono passati oltre vent’anni dalla riforma, nel frattempo è cambiato il mondo e oltre ai settori che sin dall’origine sono apparsi problematici – come la salute e la scuola – ce ne sono altri, per esempio nel campo delle infrastrutture e dell’energia, che oggi risulta semplicemente insensato sottrarre a una gestione unitaria. Non è un caso che sia stata messa in evidenza già da molti osservatori una palese contraddizione tra la necessità di centralizzare le procedure per l’attuazione del Pnrr e la spinta in senso contrario dell’autonomia differenziata.
E il ddl Calderoli? Acquisito il parere della Conferenza unificata Stato-Regioni-autonomie locali dovrà tornare in Consiglio dei ministri per il varo definitivo, dopo di che dovrà affrontare l’iter di approvazione alla Camera e al Senato. La possibilità o meno del P arlamento di intervenire sui testi delle future intese tra Stato e Regioni, al di là della ratifica o bocciatura in blocco con legge rafforzata alla fine della procedura, è uno dei punti di discussione più controversi tra i politici e i giuristi. Ma il ddl Calderoli è un normale disegno di legge governativo e il suo iter (secondo paradosso oltre a quello iniziale) potrebbe diventare l’occasione per un dibattito parlamentare ampio, che punti almeno a chiarire alcune ambiguità di fondo, soprattutto quelle relative ai Lep e ai finanziamenti. Ce ne sarà la volontà politica? Forse, senza più urgenze elettorali, è un po’ meno improbabile.
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