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Regeni, quell'ideale da piangere e amare

Goffredo Fofi venerdì 4 marzo 2016
Abbiamo seguito tutti con un sentimento d'orrore e con una compassione profonda la vicenda di Giulio Regeni, che ancora riempie le pagine dei giornali senza acquietarci. Ho conosciuto negli anni molti giovani come Regeni, che peraltro alcuni miei amici hanno conosciuto. E tremo ora pensando a quelli che, animati anche loro da una sorta di sincero idealismo, si sono buttati in imprese delicate, dentro organizzazioni nazionali o internazionali che, bene o male o così così, si occupano degli esseri umani che più soffrono dei disastri del mondo, o meglio: dei disastri provocati dai potenti del mondo, con la complicità forzata o manipolata dei loro popoli. Ma di questo è bene parlino gli esperti, quelli che ne seguono quotidianamente il corso per dovere professionale, e vanno sul posto, che conoscono gli ambienti e studiano le forze in campo. (Non sono molti, e vale la pena di ricordare, tra le poche firme attendibili, quelle di un "vecchio" come Bernardo Valli e di un giovane come Fulvio Scaglione). I giovani di cui parlo sono quelli che decidono di dedicare alcuni anni della loro vita in Africa o America Latina o Asia, e oggi, in molti, nei Paesi arabi tra Nord-Africa e Medio Oriente, ad assistere materialmente, ma anche a condividere conoscenze utili all'autonomia e allo sviluppo delle popolazioni più abbandonate dai poteri locali, più bisognose di assistenza tecnica e culturale, di medici e di agronomi, di insegnanti e di confortatori. Ho conosciuto ragazzi e ragazze credenti e non credenti, con una formazione professionale adeguata o privi di formazione e mi è capitato di recente di discutere con alcuni giovani francescani che già pensano a dove e a cosa vogliono fare, non appena possibile, mossi dall'idea, e direi anzi da un bisogno quasi fisico, di poter essere utili agli altri. Non vogliono il quieto vivere di un mestiere e di una carriera e non ambiscono neanche, come tanti, a un qualche successo, a una qualche fama magari solo "blogghista". Il loro individualismo, quando è forte, è piegato da una volontà non meno forte di "servire". Le loro inquietudini possono a volte avere un fondo di insoddisfazioni più nevrotiche che morali, ma cos'è la nevrosi se non l'incapacità di adattarsi a una società i cui modelli si giudica, nel proprio intimo, sbagliati? Sono, insomma, tra i giovani più simpatici che ho potuto conoscere in questi anni, anche se talvolta mi ha messo in ansia la fragilità di alcuni e se, in alcuni (e soprattutto in alcune associazioni) la spinta primaria non è quella del servizio ma quella di un qualche spirito di avventura e soprattutto di riempire un tempo e cercare una collocazione. Non credo che i giovani siano in quanto tali portatori di nuovo e di giusto, ho smesso di crederlo con la generazione del '68 (anche in quella c'era una maggioranza di conformisti!) con le sue sconfitte o con le sue compromissioni. Ma credo nelle "minoranze etiche" e penso siano da ammirare e amare quei giovani idealisti e "persuasi" di cui Giulio Regeni è stato, secondo tutte le testimonianze di chi lo ha conosciuto, un esempio stupendo, una persona, un giovane, da amare e da piangere.