Il treno fa il suo mestiere, sferraglia e ci porta verso la metropoli con veloce pazienza. Mi ricorda quando le donne sferruzzavano con lenta calma, facendo la maglia in un mondo che non c'è più ma che forse tornerà. La carrozza è open space, c'è il corridoio centrale e quattro posti per parte sui due lati. Tre bancari, lo deduco dai discorsi, una ragazza e due uomini maturi, stanno insieme in un versante, io sto solo fra le quattro poltroncine dell'altro. Viene tra noi un piccolo nero, forse di tre o quattro anni. Si muove a suo agio, persino un po' ilare. Dietro qualche metro, fermandosi ad ogni varco successivo, la mamma del bambino, venticinque-trentenne ben ordinata, quasi attenta. Non sento quel che lei dice perché i bancari la coprono con le loro lamentele, in quanto non si lascia andare un bimbo da solo, visto il pericolo di incontrare ovunque pedofili. Finalmente lei è da noi. Chiede se siamo credenti in Gesù Cristo: i miei vicini non capisco bene se dicono no o che non hanno tempo. Io rispondo sì, i bancari si raggelano e non parleranno più. Lei recita ad alta voce un Padre nostro; la ringrazio, non chiede soldi, vuole solo regalare una preghiera a chiunque incontri. Non riesco a crederci. Ora la sento che si allontana, di Padre nostro in Padre nostro, verso la coda del treno che avanza, di stazione in stazione arriva all'odierna meta provvisoria.