Rebora, il “Rosmini” poeta e prete del '900
Torna, ma vuol restare solo, lascia Lidia Matus, sceglie di insegnare nelle scuole serali, allora dei poveri, e comincia a donare gran parte dello stipendio alla povera gente. A nome di chi? E di che cosa? Ripensandoci, dopo, vedrà in questa scelta – parola sua – «il Battesimo ignorato, ma già operante». Il resto della sua vita da allora sono poesie: nel 1922 pubblica Canti anonimi, e si fa editore di Sedici libretti di vita, collezione di scritti «mistici» nei secoli, che illustra di persona in viaggi ripetuti per l'Italia. Solo e sempre discreto, quasi straniero ed eremita da tutti, fuorché dai suoi versi e dai suoi poveri. Perché? Non lo sa, o non se lo dice: è così. Ma ecco che arriva l'ora dell'incontro decisivo con Alfredo Ildefonso Schuster, benedettino, cardinale e arcivescovo di Milano: conquistato, se ne fa discepolo, riceve la Cresima e si avvicina a una Congregazione, allora recente fondata da don Antonio Rosmini, filosofo, teologo, riformatore, fondatore e futuro beato…
In realtà il vero incontro, mediatori Schuster e Rosmini, è con Cristo, che segna la sua vita fino all'ultimo giorno. Nel 1931 è novizio rosminiano a Domodossola, nel 1933 emette i voti religiosi e nel 1936 è prete. Gli ultimi venti anni scorrono pieni di lavoro da prete tra i poveri, i malati e le prostitute che acconsentono a liberarsi. Tra i primi preti di strada, diremmo oggi… E la poesia? Torna alla grande, matura, raffinata e commossa negli ultimi due anni, quando ormai è troppo malato per darsi da fare fuori. Ecco dunque nel 1955 Curriculum Vitae, e nel 1957 Canti dell'infermità. Muore a Stresa in quello stesso anno il 1° novembre.
E i suoi versi? A sorpresa, e da sempre, anche negli anni della sua lontananza, sembrano già pieni di Cristo. Ecco dai Canti anonimi, del 1920, parecchi anni prima della conversione: Dall'immagine tesa/vigilo l'istante con imminenza di attesa e non aspetto nessuno: nell'ombra accesa spio il campanello che impercettibile spande un polline di suono - e non aspetto nessuno: fra quattro mura stupefatte di spazio più che un deserto non aspetto nessuno: ma deve venire; verrà, se resisto, a sbocciare non visto, verrà d'improvviso, quando meno l'avverto: verrà quasi perdono di quanto fa morire, verrà a farmi certo del suo e mio tesoro, verrà come ristoro delle mie e sue pene, verrà, forse già viene il suo bisbiglio. Sì, quel “bisbiglio” è venuto, e si è fatto voce nel Canto della vita di Clemente Maria Rebora, gran prete e grande poeta.