Un uomo lillipuziano cammina nel cielo vuoto fra il campanile e il tetto di una casa. Le braccia aperte, solleva una gamba, la piega, a gru, poi, dopo avere trovato la posizione perfetta, la appoggia, fa qualche passo sul filo che oscilla e si rimette di nuovo a gru con l'altra gamba. Ruota su se stesso, agita le braccia, ritrova l'equilibrio. Sotto, nella piazza, tra le bancarelle illuminate le persone, a testa in su, trattengono il fiato. Non è una scena della Strada di Fellini, quando Gelsomina guarda incantata il funambolo, che tutti chiamano il Matto, mentre tende il piattino delle offerte «al vostro buon cuore». Questa è una festa patronale in un paese vicino a Milano dove sono capitata per caso e l'uomo, secondo le norme di sicurezza, è imbragato. Ma quando scivola lungo un cavo e atterra sulla piazza l'incanto di ciascuno è quello di Gelsomina. Mi colpisce che nessuno applauda, anch'io sono immobile. L'uomo assomiglia a Philippe Petit, meraviglioso funambolo di cui ho letto una biografia e visto delle foto. Come lui ha i capelli ricci e gli occhi che guardano lontano. Gli stessi del Matto di Fellini. La realtà, immaginaria o in carne e ossa che sia, non si esprime soltanto nella prosa frastornante della cronaca nera. Qualche volta, è stato detto, si esprime in versi.