Hyderabad è la quarta città più popolosa dell’India. La capitale dello stato di Telangana, nell’India Meridionale. Uno dei principali centri che ospitano l’industria tecnologica. È qui che si trova la sede della società per la quale lavora Ravi Yekkanti. La sua storia l’ha raccontata la rivista MIT Technology Review, fondata dal Massachusetts Institute of Technology, cioè da una delle più importanti università di ricerca del mondo. Ogni mattina, quando arriva in ufficio, Ravi indossa un paio di occhiali per la realtà virtuale ed entra nel metaverso, cioè nel mondo digitale virtuale «universale e immersivo». Al sentire nominare la parola «metaverso» molti di noi pensano che sia solo la più cocente sconfitta di Mark Zuckerberg, patron di Facebook, Instagram, Messenger e WhatsApp. Eppure esistono diversi metaverso. E li abitano già 350 milioni di utenti che usano soprattutto piattaforme come Fortnite, Roblox e Minecraft per giocare ma anche per socializzare. Il metaverso di Meta si chiama Horizon Worlds. Ed è qui che Ravi lavora. Perché anche il mondo virtuale può essere pericoloso. Ci sono stati casi di aggressioni sessuali, bullismo e adescamento di bambini. Il compito di Ravi Yekkanti è assicurarsi che anche nel mondo virtuale tutti siano al sicuro e si divertano. Lui si sente come una sorta di agente sotto copertura. Un uomo in prima linea tra i moderatori del metaverso. Un ruolo che, alla luce delle ultime novità di Meta, è diventato ancora più importante. Perché la società di Zuckerberg ha licenziato un gran numero di moderatori del suo mondo digitale e al contempo ha deciso di abbassare l’età minima per accedere al suo metaverso: dai 18 ai 13 anni. È vero che la società ha anche annunciato «regole per proteggere gli utenti più giovani» ma non bastano le macchine e l’intelligenza artificiale per farle rispettare. Servono persone in carne ed ossa. Spesso indiane e africane. È qui infatti che hanno sede tante società esterne che offrono i loro servizi di “sorveglianza” ai giganti del digitale per i loro social, le loro app, i loro mondi virtuali. Sono loro che, facendo turni massacranti per pochi soldi, bloccano nel digitale i contenuti peggiori di violenza, pedopornografia e altro. E sono sempre loro a segnalare i casi controversi, ai loro superiori che stanno in America. Tocca a loro far rispettare le regole e assicurarsi che le persone non eludano le misure di sicurezza.
Se fossimo in un film americano, Ravi Yekkanti avrebbe la faccia di Al Pacino. Sarebbe un poliziotto, senza uniforme e senza distintivo, che accetta di fare una vita di sacrifici per combattere i peggiori criminali. Ravi agisce così. Gira per ore e ore nel metaverso di Meta come un utente qualunque e interagisce con decine di avatar (la versione digitale degli utenti) senza svelare il suo ruolo. In questo modo può scoprire i comportamenti scorretti. Le piattaforme immersive, come Roblox e Horizon Worlds, mantengono segrete le statistiche sui reati nei loro metaverso. Ma Yekkanti afferma che non c’è giorno che non ne incontri. Lui però si sente molto più un agente in missione nel digitale. Si sente un consulente di alto livello di Meta. Uno che segnala non solo gli eccessi che incontra ma che dà anche consigli all’azienda su come migliorare una funzione, una zona, un gioco, un’esperienza. Senza di lui il mondo virtuale (e non solo quello) sarebbe un luogo peggiore. Peccato che (quasi) nessuno conosca gli Yari che ci proteggono ogni giorno e dica loro grazie.
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