Il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio consiglio della cultura, ha riversato la sua sapienza di biblista e la sua sensibilità artistica (è anche presidente della Pontificia commissione di archeologia sacra) in un piccolo libro dedicato a Maria, una summula di teologica devozione e di competenza pluridisciplinare: Le sette parole di Maria (EDB, Edizioni Dehoniana, Bologna 2020, pp. 152, euro 12). Il titolo è un trasparente ricalco della “Sette parole di Cristo in Croce” che hanno appassionato gli esegeti e ispirato una schiera di musicisti guidati dal vessillifero Joseph Haydn, fra i quali vanno citati almeno Mercadante, Gounod, Perosi, Dvorak, MacMillan. Come avverte Ravasi, Maria parla poco nei Vangeli, soltanto in 16 versetti, per un totale di 154 parole greche, delle quali ben 102 sono occupate dal Magnificat. Stando ai testi, le frasi di Maria sono propriamente sei: due all’annunciazione dell’arcangelo Gabriele, una nella visita a Elisabetta (il Magnificat, appunto), una al ritrovamento del Figlio nel tempio fra i dottori, due alle nozze di Cana. Ma il cardinale ne ha aggiunto una settima, cioè il silenzio assertivo della Madonna sul Calvario, quando Gesù la rende madre della Chiesa, al momento rappresentata dal discepolo Giovanni. Ravasi non cita soltanto biblisti, ma anche Lutero, poeti come Claudel e Caproni, Mazzolari, scrittori come Sandro Veronesi e Laura Bosio. Qui non possiamo però addentrarci nel folto di tutte le argomentazioni ravasiane. Nel commento al Magnificat, per esempio, «non c’è solo l’esaltazione dell’autentica povertà e della premura che la comunità cristiana deve avere nei confronti degli umili, degli affamati, dei deboli. C’è soprattutto una forte speranza nell’azione di Dio, descritto da Maria nella triade dei suoi attributi trascendenti, cioè potenza, santità e misericordia». L’inno di Maria nella casa di Elisabetta non è una silloge di citazioni della Scrittura bensì, su un “palinsesto biblico”, la Madonna riepiloga la storia della salvezza dei secoli precedenti e per i secoli futuri. Toccante è poi il parallelismo tra Maria, con il Figlio nel grembo, e la traslazione dell’Arca a Gerusalemme. Davide aveva esclamato: «Come potrà venire a me l’Arca del Signore?» ed Elisabetta replica la stessa domanda: «A che cosa devo che la madre del mio Signore venga a me?». In entrambi i casi il contesto è festoso, con Davide che danza davanti all’Arca, e Maria che esulta con Elisabetta mentre il Battista, nel grembo di sua madre, ha un sussulto gioioso. Imponente il numero di musicisti ispirati dal Magnificat: da Monteverdi, Vivaldi, Scarlatti, fino a Goffredo Petrassi che il cardinale ricorda per conoscenza personale, «sia pure mediata da dialoghi telefonici».
Ben altro ci sarebbe da riferire sulle altre “parole” di Maria. Ma non possiamo fare a meno di applaudire almeno l’esegesi ravasiana dell’”ecce ancilla Domini” che non è soltanto autocoscienza di umiltà, bensì ricapitolazione in chiave cristologica dei “Servi del Signore”, da Abramo, Mosè, Giosuè, Davide fino al “Servo del Signore” per eccellenza, nei quattro canti del libro di Isaia.