Ranchetti, l'intelligenza che aiutava a crescere
osteggiato che fu il "modernismo". E si sogna un editore avvertito come quodlibet, che pubblicò a suo tempo molte cose di Michele Ranchetti, per esempio le bellissime poesie a fondo religioso (La mente musicale, Verbale...), riproponga il grande saggio che egli dette a Einaudi nel 1963: Cultura e riforma religiosa nella storia del modernismo. Ma non è del modernismo che voglio dire e neanche di Buonaiuti, ché non mi sento all'altezza, ma proprio di Ranchetti, milanese-fiorentino (1925-2008) che ho frequentato e amato. Fu poeta densissimo, di idee e non solo di sentimenti, studioso e traduttore di Wittgenstein, Jung, Rilke e soprattutto di Walter Benjamin e di Paul Celan, suoi punti di riferimento imprescindibili. Lavorò in gioventù a fianco di Olivetti, insegnò storia della Chiesa a Firenze sostituendo Cantimori e precedendo Gaeta e fu amico di don Milani sin dall'infanzia fiorentina. A lui e ad altri preti dedicò una raccolta di ritratti assai insolita e che andrebbe anch'essa riproposta, - Gli ultimi preti. Figure del cattolicesimo contemporaneo, Edizioni Cultura della Pace - dove non taceva alcune riserve sia su don Milani che sul mio amato Capitini, venerando invece un prete, Tartaglia, che con Capitini aveva fondato un movimento di religione a guerra appena finita (su Tartaglia ha scritto un bel libro Giulio Cattaneo, L'uomo della novità, riproposto da Adelphi). Un altro suo libro importante è Non c'è più religione. Istituzioni e verità nel cattolicesimo italiano del Novecento (Garzanti 2003), e anche questo dovrebbe venir studiato nei seminari, e forse lo è già. Ranchetti non era una persona facile, esigente soprattutto nei confronti dei suoi amici, ma pochi "intellettuali" come lui hanno saputo aprire le idee a tanti, discutendo, proponendo, provocando... aiutandoli a scegliere, e a crescere.