I romanzi più noti non sempre sono i più letti, a scoraggiarne la lettura ci pensano spesso le dimensioni. Chi non conosce le avventure e le disavventure del capitano Achab alle prese con la balena bianca, ma quanti si sono realmente avventurati nelle seicento pagine di Moby Dick, il capolavoro di Melville? Per non parlare del doppio e più delle pagine di Guerra e pace di Tolstoj e di tanti altri classici della letteratura. Chi non si scoraggia di fronte alla mole di tali scritti sono gli autori di cinema e tv, che più volte hanno attinto a questi testi per trarne soggetti e sceneggiature. Un discorso che vale anche per La Storia di Elsa Morante di cui Rai1, il lunedì sera, sta proponendo la seconda trasposizione televisiva dopo quella del 1986 a firma di Luigi Comencini. Questa volta a confrontarsi con le 665 pagine della prima edizione Einaudi del 1974 sono gli sceneggiatori Giulia Calenda, Ilaria Macchia e Francesco Piccolo con la regista Francesca Archibugi. Sono loro a ricreare l’affresco storico della Roma popolare degli anni Quaranta ridando vita televisiva a Ida Ramundo vedova Mancuso, maestra elementare di origini ebraiche, e ai suoi figli Nino (avuto con il marito) e Useppe (frutto della violenza sessuale da parte di un soldato tedesco, comunque accettato con amore di madre). Nel raccontare dei tre, negli anni della guerra e del dopoguerra tra gioie e dolori, speranze e delusioni, gli autori della serie in otto episodi (già tutti disponibili su RaiPlay) puntano su un neorealismo rivisto e corretto, modernizzato nelle ambientazioni ricostruite e negli effetti speciali, che non spinge più sul tasto della commozione anche se resta fedele all’idea di portare in scena le persone comuni, i poveri cristi di un’umanità sofferente, rassegnata, che cerca di sopravvivere alla guerra mantenendo una propria dignità nel vortice dell’orrore assoluto.
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