Che un mondo smaliziato, razionale e materialista come il nostro abbia ancora bisogno di favole offre motivi di riflessione e pone ancora qualche interrogativo sul ruolo dei media (tv in testa) nella creazione dei miti. È una considerazione inevitabile dopo aver visto martedì in prima serata su Rai 1 il documentario D. Time - Il tempo di lady D, coproduzione mondiale sulla vita della principessa Diana in onda nel giorno anniversario della morte avvenuta a Parigi il 31 agosto 1997 a soli 36 anni. Per dare autorevolezza alla proposta di Rai Documentari il direttore Duilio Giammaria ha coinvolto il Tg1 portando in scena una delle conduttrici di punta, Laura Chimenti, che ha fatto da voce narrante e ha introdotto la biografia spiegando che questa, diversamente da altre, permette di interpretare l'ultimo ventennio del secolo scorso. In effetti, il documentario contestualizza i momenti della vita di Diana nei fatti dell'epoca: dalle manifestazioni contro la Thatcher alla guerra nelle Falkland. Diana stessa avrebbe poi contribuito ad ispirare profondi cambiamenti sociali, passando da timida sposa a principessa impegnata nel sociale, a donna libera amata dal popolo. In ogni caso quel discorso della favola e del mito non viene mai meno. Il matrimonio fu ritenuto da favola (nonostante che come spiega il documentario Diana voleva rinunciarci già sapendo del tradimento di Carlo), mentre il resto della sua vita, che rinnegava proprio il matrimonio da favola, è stato mitizzato nella donna che ha il coraggio di osare. In tanti hanno pianto per Diana, in pochi l'hanno realmente conosciuta. L'immagine vincente, sia pure così diversa a seconda dei momenti della vita (principessa triste, regina di cuori, paladina dei diritti civili) e senza nulla togliere al valore indiscutibile della persona, è quella che ogni volta hanno fornito i media, che hanno sempre inseguito Diana, fino all'ultimo.