In questi giorni, tra i vari canali televisivi, abbiamo intercettato diversi buoni documentari e docufilm, che, va detto subito, non sono la stessa cosa, ma sono riconducibili alla stessa idea di raccontare la realtà attraverso fatti, luoghi e persone. La differenza è che il documentario (storico, scientifico o d’inchiesta che sia) si limita al racconto cronachistico e alla raccolta di testimonianze senza aggiunta di elementi di finzione, che invece caratterizzano i docufilm con parti interpretate da attori. In ogni caso il documentario in senso generale rappresenta uno dei generi più congeniali alla televisione. Ne sono prova quelli di cui abbiamo parlato nei giorni scorsi (il documentario sul ritrovamento archeologico di San Casciano dei Bagni e il docufilm su Gigi Riva), ma anche quello andato in onda martedì su Rai 3, Luci su Ustica, nell’anniversario della strage del Dc9 dell’Itavia, il 27 giugno 1980, in cui morirono 81 persone: i passeggeri e l’equipaggio dell’aereo di linea Bologna-Palermo inabissatosi in mare nei pressi dell’isola di Ustica, aprendo una delle pagine più dolorose e buie della nostra storia recente in attesa di una completa verità che non è mai arrivata. Per questo il documentario collega il percorso compiuto dai familiari delle vittime (che non hanno dubbi sul fatto che l’aereo sia stato abbattuto) e il museo che a Bologna è stato concepito perché rimanesse memoria della tragedia. Oggi le luci per Ustica sono 81 lampadine, volute dall’artista Christian Boltanski, che si accendono e si spengono come un cuore pulsante nell’hangar-museo che conserva i resti del Dc9 recuperati pezzo per pezzo in fondo al mare. Per i familiari è la bara su cui piangere i propri cari, ma anche, come spiega il cardinale Zuppi tra le numerose interviste del documentario, il segno della vera ferita che continua a fare male dopo 43 anni: l’ingiustizia.
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