Il titolo dice tutto: Un giudice solo. La prima puntata della nuova serie di inchieste di Cose Nostre, in onda ieri in tarda serata su Rai 1, ha ripercorso la breve vita del magistrato Giangiacomo Ciaccio Montalto, ucciso dalla mafia il 25 gennaio 1983 a Valderice, in provincia di Trapani. Aveva solo 42 anni, una giovane moglie e tre figlie piccole. Di lì a poco si sarebbe trasferito a Firenze, per indagare sulle ramificazioni della cupola in Toscana, ma anche per la delusione del risultato delle sue inchieste nel trapanese, tutte appositamente fatte naufragare. Nonostante le minacce ricevute, aveva scoperto e denunciato gli intrecci tra mafia, massoneria deviata e mondo politico imprenditoriale svolgendo per primo indagini finanziarie e patrimoniali. Fu in questo un precursore, ma fu lasciato solo, anche nel suo stesso ambiente di lavoro, fino a diventare una delle prime vittime eccellenti della folle regia criminale di Totò Riina, che sarebbe proseguita nel ricatto allo Stato con gli attentati a Falcone e Borsellino e con la strategia della tensione attraverso le autobombe nelle città d'arte. Ciaccio Montalto era un uomo di grandi valori e aveva un profondo senso del dovere. Cose Nostre lo racconta bene, ricorrendo a numerose testimonianze, ma soprattutto alla narrazione di una delle figlie del magistrato, Marene, privilegiando come in passato il racconto al femminile, per di più ambientato simbolicamente, con una cura particolare delle immagini, in un capannone, in mezzo a tende strappate e a rotoli di sfilo spinato. Nell'idea di Emilia Brandi (che firma il programma con Vincenza Berti, Daniele Cortese, Beniamino Daniele, Sergio Leszczynski, Federico Lodoli, Carlo Puca e la regia di Raffaele Maiolino) sono le donne le principali vittime della mafia, ma anche le più capaci di ribellarsi a un sistema malavitoso maschilista per riaffermare il valore positivo delle legalità.