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Rafforzare il governo ma anche il Parlamento

Stefano De Martis domenica 4 giugno 2023
Se un osservatore privo di memoria analizzasse ora il funzionamento del nostro sistema istituzionale vedrebbe un governo nel pieno dei suoi poteri, che procede a colpi di decreti-legge e questioni di fiducia, che è guidato da una leader riconosciuta e determinata e che è indubitabilmente figlio dei risultati delle ultime elezioni politiche. Vedrebbe anche un Parlamento che fatica a star dietro alle iniziative dell’esecutivo e che dedica gran parte della sua attività a ratificare, con limitate possibilità di modifiche rilevanti, le misure varate dal governo. L’osservatore di cui sopra sarebbe quindi autorizzato a pensare che il nostro sistema avrebbe bisogno soprattutto di vedere rafforzato il ruolo del Parlamento, non quello del governo… Messa così può apparire una provocazione. Basta ripercorrere anche sommariamente la storia della Repubblica per verificare una parossistica instabilità dei governi che pare sia diventata proverbiale anche tra i leader degli altri Paesi, curiosi di sapere quale interlocutore italiano troveranno nel summit successivo. E l’instabilità è il principale, non l’unico dei problemi sul versante dell’esecutivo. Ma se di provocazione si tratta, essa contiene comunque un nucleo di verità. In un sistema equilibrato – e l’equilibrio tra pesi e contrappesi è un requisito fondamentale delle Costituzioni democratiche – non si può immaginare un rafforzamento del Governo senza parallelamente ipotizzare anche un rafforzamento del Parlamento. Tema, quest’ultimo, sostanzialmente assente o del tutto marginale nel dibattito politico sulle riforme. E ciò è particolarmente grave laddove si consideri che tre anni fa le Camere sono state oggetto di un drastico ridimensionamento numerico a cui non sono seguite le ulteriori riforme che avrebbero dato un senso compiuto all’operazione.
Neanche quelle che non avrebbero richiesto la procedura di revisione costituzionale, come una nuova legge elettorale o l’adeguamento degli stessi regolamenti parlamentari, rimasto incompleto. Le difficoltà attuali, che pure appartengono a un filone ben datato di distorsioni del procedimento legislativo, sono esplose in questa fase anche a causa della “distrazione” (diciamo così) di cui è stato vittima il Parlamento. Del resto, rispetto allo schema classico della divisione dei poteri, in sistemi come il nostro e soprattutto in seguito all’introduzione almeno parziale del maggioritario, è andato progressivamente crescendo il rapporto di continuità tra legislativo ed esecutivo, con il governo sempre più “comitato direttivo della maggioranza parlamentare”, secondo un’autorevole definizione. Una delle conseguenze di questo sviluppo – materia di dibattito tra gli studiosi – è che si è fortemente ridimensionato il ruolo di controllo delle assemblee legislative mentre è inevitabilmente cresciuto quello degli organi di garanzia, spesso l’unico effettivo limite alle decisioni dell’esecutivo, così che tali organi vengono spesso impropriamente dipinti come “oppositori”. C’è quindi bisogno di riportare il Parlamento alla pienezza non solo formale delle sue funzioni. Per fare questo occorre lavorare sul versante del bicameralismo ma anche su uno “statuto dell’opposizione parlamentare” che dia legittimazione, strumenti efficaci e allo stesso tempo regole al ruolo delle minoranze, presenti nelle Camere grazie al voto di elettori che non sono cittadini di serie B. © riproduzione riservata